2005. Fine giugno. Sera. Avevo un appuntamento verso le 20.30, ma prima delle 21.00 ero già tornato a casa. Però non da solo. Con me -o meglio, aggrappata a me con tutte le sue unghiette- c'era una gatta piccolissima sia per dimensioni che per età, con un fiocco rosa più voluminoso di lei. Non avevo parole, era da anni che avrei voluto una gatta e finalmente era arrivata. Nera, come nella famosa canzone, perché anche io la volevo così. Da molto prima che arrivasse, avevo deciso che la mia gatta -se mai ne avessi avuta una- si sarebbe chiamata Lilja. Finalmente ora esisteva veramente. La prima notte le avevo messo un cuscino accanto al letto: pensavo si potesse abituare a dormire lì. Non lo usò mai, già alla prima occasione si arrampicò sul materasso dopo che mi ero addormentato e quando mi svegliai, la vidi beata e tranquilla rannicchiata sul mio petto.
2021. Fine settembre. Sera. La giornata era stata molto difficile: la mattina ero corso dal veterinario, prima senza Lilja, poi con lei. All'improvviso, la notte precedente, le sue zampe avevano deciso di non muoversi più. Una flebo, dei sali minerali e altri intrugli a me ignoti, per vedere se la situazione poteva migliorare. Qualche ora di attesa e no, non migliorava e non sarebbe migliorata. Si sarebbe anzi capito che sarebbe peggiorata. C'era solo da aspettare un ammontare di ore che si prospettava assai lungo, ma la decisione era inevitabile: il mattino seguente saremmo tornati un'altra volta a fare un'iniezione, quella che avrebbe posto fine a tutto.
L'ultima notte l'avevo presa e sdraiata sul mio petto, perché da sola non ce l'avrebbe fatta. Con la zampa anteriore destra mi diede una sorta di abbraccio, aggrappata a me con tutte le sue unghie. Era ancora piccola, stavolta solo per dimensioni.
Lilja mi ha lasciato il 29 settembre alle 10.56. Avevo immaginato tante volte come sarebbe potuta finire e il timore principale era che succedesse mentre io ero altrove: non la ringrazierò mai abbastanza per aver aspettato anche questa volta che tornassi dalla mia stagione norvegese e anzi di aver scelto un momento in cui eravamo soli io e lei. Poterla abbracciare fino al suo ultimo respiro è stato il regalo più grande che mi potesse fare.