venerdì 16 ottobre 2015

Una gita a...

Un giorno, ad agosto inoltrato, andammo in luoghi montani un po' diversi dal solito. Stavamo a quote tali che le zecche non abitavano tra quei fili d'erba, in compenso sul terreno impaludato dai piccoli torrenti crescevano i camemori. Ce n'erano davvero molti e dopo aver fatto un'escursione verso un lago ancora semighiacciato (in cui mi capitò anche di vincere la scommessa "se riesci a starci più di un minuto...") ci dedicammo alla loro raccolta. Era dal 1997 che non mangiavo un camemoro. Dai tempi in cui stavo a Espoo. Da allora avevo avuto modo di provare marmellate e bere liquori fatti con tale bacca, ma un camemoro vero e proprio non l'avevo mai più mangiato. Così ne assaggiai uno. Occhi chiusi. In quel momento avevo ancora 16 anni, ero nei boschi dietro casa a raccogliere bacche, mentre Jesse -un bovaro del bernese di sei mesi alto quanto me- andava libero tra i sentieri e tornava non appena lo si chiamava. Un altro. Occhi chiusi. Eeva-Liisa, Hille, Mikko, la famiglia che mi ospitò per un mese. Altri ancora. Occhi chiusi. Nuuksio, il parco nazionale in cui dormii sotto le radici di un albero enorme. Montella e Veron che prese una traversa con un tiro da centrocampo all'Olympiastadion. Penne che non funzionavano. Ristorante Perugia. Kauppatori, fragole e piselli. Biglietti dell'autobus, carnet da dieci. Lepri immobili, di notte, sotto il lampione di fronte alla finestra. Un incidente assurdo in auto a 100 km/h tra i campi, l'uscita di strada e l'entrata nel fosso, incredibile come ne uscimmo illesi. La sauna, il fuoco, il sudore, la bruciatura da ferro che andò via solo dopo tanti mesi. Claudia che invece se ne andò via dopo pochi giorni e mi sentivo in colpa, perché l'avevo convinta io a scegliere Helsinki. Il primo (ed unico) giro in kayak. La prima volta che misi piede a Stoccolma (e in Svezia in generale), con un viaggio in nave, Rhonda e un liquore alla liquirizia travestito da analcolico. Le karjalanpiirakka, il salmone marinato all'aneto, le torte e il succo di limone. Avendo tenuto gli occhi chiusi per troppo tempo, mi ritrovai chissà dove, nel silenzio del legno. Davanti a me c'erano molti più camemori di prima. Questo significava essenzialmente una cosa: avevo lasciato il sentiero e non ero minimamente in prossimità degli altri. Occhi chiusi. Un rigore calciato sul palo. Mari Jonna, la vodka, il suo cane che tremava perché gliel'avevano avvelenato e lei che nel frattempo stava avvelenando un po' me, ma avrei tremato solo dieci anni dopo. Poche settimane prima il mondo era collassato giusto sulla mia testa io non avevo fatto nulla per spostarmi, anzi mi ero messo in una posizione più centrale. Il 16 maggio piansi, non andai dal dottore ma mi resi subito conto che mi s'era fratturata l'anima in più punti. All'uscita del buco nero trovai la Finlandia, luogo designato alla riabilitazione da una piccola morte. Ancora oggi resta un mistero perché decisero di regalare proprio a me quella borsa di studio. Non avevo alcuna cautela nel riporre i camemori che infilavo nel sacchetto. L'obiettivo era raccoglierne molti. Chiudere gli occhi. Quando li riaprii, qualcuno mi stava aspettando altrove.