lunedì 30 novembre 2015

Bulgarian wood

Non pensavo che l'ultima -probabilmente- trasferta del 2015 mi avrebbe portato laggiù. E invece, il 21 mattina alle ore 11 e 15 locali, mi ritrovavo ad atterrare all'aeroporto di Sofia. Dopo aver lasciato parte dello stomaco tra i saliscendi dei vuoti d'aria, per iniziare al meglio l'esperienza in una nuova terra straniera segnata profondamente da una quantità inusuale -per me, ovvio- di caratteri cirillici. 
In parte il viaggio era stato deciso dal caso (del tipo che una settimana prima avevo cercato "ovunque" come possibile destinazione, affidandomi poi a una delle soluzioni più economiche, per la precisione la terza, alle spalle di Lourdes e di Poznań), in parte era stato deciso da altri (del tipo che avrei voluto organizzare degli spostamenti per andare a trovare qualche persona che però o non mi ha più fatto sapere nulla o è stata colta da imprevisti imprevedibili troppo cronoassorbenti), in parte era stato deciso da un'idea mia piuttosto stupida (del tipo che l'ultima persona con cui ci si era reciprocamente proposti di vederci era Sofia, da qui la decisione che se non potevo andare da Sofia, allora sarei potuto andare a Sofia, giusto per una simpatica coincidenza dei due nomi e la sola mancanza di una d). Dunque niente Portogallo, ma Bulgaria. L'aeroporto di Sofia ha una cosa che mi è subito piaciuta: è attaccato alla metropolitana, quindi a parte la fatica di trovare la navetta per arrivare al terminal 2, non c'è lo sbatti di cercare il bus giusto per arrivare in città. E pure l'ostello dove sono stato aveva la stessa caratteristica: ci sono arrivato quasi senza perdermi (sbagliare un paio di vie mi pare accettabile). Comunque la cosa che veramente mi premeva era farmi un giro sulla Vitoša. Non che mi premesse da una vita, neanche da qualche anno o addirittura pochi mesi: no, mi premeva da una settimana, giusto il tempo di scoprire come si chiamano le montagne intorno a Sofia. Chiaramente non avevo idea di come fossero i sentieri, di cosa si potesse vedere né di come si arrivasse da quelle parti, e chiaramente essendo arrivato di sabato l'ufficio turistico era chiuso e lo sarebbe stato fino al lunedì mattina. Troppo tardi, io volevo andare sulla Vitoša il prima possibile. Quindi dopo una prima giornata girando qua e là, finalmente il secondo giorno è stato il momento di salire in montagna. Per andare dove? La risposta l'ho trovata grazie a Google: mi avevano detto del monastero blablabla e delle cascate blablabla, ma già che non sapevo dove prendere il bus 63, ho deciso che era più facile prendere il tram 5. Solo non sapevo quanto distante fosse quella meta improvvisata, né il dislivello da affrontare, né le condizioni del sentiero. Beh, il sentiero era facile e largo, tra andata e ritorno stimo una dozzina di kilometri, quindi prima che facesse buio ero di ritorno. Mi fa bene stare nei boschi. Forse perché i boschi sono un posto in cui è più giusto che altrove stare da soli. E poi ho potuto abbracciare di nuovo delle betulle, che non mi fa male. Per la cronaca, alla fine mi sono ritrovato a Zlatnite Mostove, da cui passò pure Morgan Freeman, per dire. La passeggiata nel bosco è stata la cosa più bella che ho fatto da quelle parti. Anche perché nel sacchettino di frutta secca che avevo meco c'era pure l'ananas disidratato e addirittura dei pezzetti di cocco. Il giorno successivo invece ho provato una di quelle sensazioni che d'impatto sembrano destinate a cambiare la vita. Me ne stavo a guardare una serie di passeriformi imbalsamati, pensando al fatto che probabilmente si trovavano lì da circa ottant'anni, quando d'improvviso qualcosa è cambiato totalmente. Si è spenta una luce, si è chiusa una porta, è morta una cosa che non so come definire. Qualcosa che assomigliava a una capacità di sapersi illudere sempre, ovunque, comunque. Al dolore quasi fisico ne é seguita una calma simile a quella che si può avvertire nel momento in cui sopraggiunge la rassegnazione. Ho l'impressione di essere diventato un po' peggiore quel giorno. Alle 4.22 del mattino successivo, l'ultimo grido, disperato, addolorato, acutissimo, ha squarciato il silenzio della camerata da sei. Ma ha svegliato solo me, il nippone che farà il giro d'Europa in bicicletta e la taiwanese che ha deciso di lavorare per un po' nei balcani non si sono accorti di nulla.