venerdì 1 maggio 2015

Così che tu possa sentir per me quasi una solitudine

Pensando ai miei gusti climatici, tutto ciò aveva avuto un sapore inverosimile, non avrei potuto immaginare una beffa del genere: eravamo nati in un deserto infuocato per morire tra i ghiacci e le nebbie in una danza di neve. Morire danzando è stato qualcosa di estremamente grottesco. Insopportabile. 
Dopo tutto questo tempo, stanno svanendo le parole scritte dietro a foto e disegni colorati, tra altri anni lasceranno il posto a qualche nuova eco di pensieri che forse non sono neppure mai esistiti. E un giorno, anche l'eco finirà o sarà semplicemente una flebile percezione, leggerissima e sfuocata, come quella di terremoti lontani che sento nei nervi ma non nella pelle. Tutto il resto l'ho chiuso in cristalli, che rimangono semi-sepolti in quel deserto in fiamme che ogni tanto sembra destinato a sopirsi per sempre sotto le montagne di neve, dove ogni baluginio sembra morire nella nebbia e nella notte, fin quando ciclicamente tutto si scioglie al ritorno della luce. Quei cristalli hanno sempre avuto punte acuminate, ma una pelle callosa e ispessita diventerà una protezione sufficiente per non sentire più alcun dolore quando ci si passerà sopra. E proprio per questo quel giorno diventerà inutile maneggiarli. 
Hai paura del buio? No, ho paura della luce, perché al buio puoi far finta che esista tutto ciò che vuoi, la luce invece non finge, devi intrappolarla bene, chiudere ogni spiraglio. La luce ha il potere: se la fai uscire, vedo chi non c'è. Allora le palpebre erano state un'arma efficace, serrande abbassate sul mondo: ci si poteva addirittura raccontare cosa si vedeva con gli occhi chiusi. Dieci scatti. Api e bolle di sapone. 
Ho imparato una nuova lingua per poterti non parlare più. Proprio ora ne sto apprendendo un'altra, così che nella testa ho sempre più parole, ma sempre meno me ne restano nella bocca e sulle dita.