lunedì 23 maggio 2016

Bye bye déjà

Aprile fu ventoso, come tanti anni prima. Vicino scorreva un fiume, lontano le città. Di notte le rane gracidavano e brillavano le stelle, di giorno pioggia e sole si potevano alternare senza fornire sostanziali differenze a chi ci viveva sotto. Un giorno vidi un fiume che fino a poche ore prima non esisteva. Scorreva senza particolare impeto in un letto preposto al suo passaggio. Un canale quasi sempre vuoto che d'improvviso si riempiva, per tornare vuoto e secco dopo poco tempo. Molte cose tendono a somigliarsi se non si bada alla forma, ma piuttosto al contenuto. Senza cascate, si potevano trovare conchiglie stupende.
Cominciai di nuovo a riempire buche, scavate dai cinghiali durante l'inverno. Poi tolsi molti sassolini, per rafforzare gli argini. Di nuovo buche. Vuote. Piene. E poi alveari abbandonati, tetti scoperchiati, raccolte interminabili di foglie e rami.
Arrivarono i tedeschi, come tanti anni prima. Poche parole per loro e un disprezzo crescente.
Un gatto nero con una piccolissima macchia bianca sul collo passava veloce sullo sterrato, le lumache al contrario si inseguivano lentamente, senza trovarsi prima che arrivasse il buio. Un ragno di dimensioni notevoli non riusciva a scavalcare i bordi di un'insalatiera.
Nel frattempo contai macchine, ascoltai canti partigiani francesi e pensai a quanto fosse labile il concetto di bellezza: la decadenza di fabbriche in disuso, gli alberi che crescevano tra le finestre, erano fantastici per me, ma non per un uomo che passava nello stesso momento da quelle parti in macchina.
Mi trasferii poco distante, sempre lungo lo stesso fiume, per caricare foglie, tronchi segati ed erba ormai secca su una cariola per viaggi infiniti, e ancora rami spezzati ovunque, rami tranciati, cesoie e forbici. Passai di nuovo molto tempo a tagliare. Dopo moltissimi anni persi di nuovi i sensi, assaporando per un attimo la bella sensazione di non sapere, non vedere, non sentire, non capire, non esserci.
Sulle montagne ritrovai la libertà, perdendomi sempre più rapidamente, pestando i ricci con le mani, camminando sui cespugli, ingrovigliandomi nelle spine, respirando l'odore del legno bruciato sulla cresta della montagna annerita. Andai a visitare anche l'abisso, luogo gradevole come spesso succede. All'uscita il sole splendeva fortissimo.