martedì 8 novembre 2016

The starman

In un'epoca in cui definirmi bambino era più che accurato anche -e forse soprattutto- da un punto di vista prettamente anagrafico, capitò che ci fu una sera in cui arrivò un signore a passare del tempo in ciarle nella casa in cui stavo e in cui di tanto in tanto mi capita di stare pure nell'attualità. Quel signore parlava parlava parlava, snocciolava parole su parole inerenti ad argomenti che non ricordo io e probabilmente non ricordano neppure gli altri presenti. A un certo punto però mi parlò delle stelle, evidenziando come esse non fossero tutte uguali tra loro e come fossero diverse da quanto io bambino anagrafico -e non solo- mi aspettassi. Nane rosse. Nane bianche, quelle degeneri delle nane bianche! Nane nere, eventualmente, non certe, ipotetiche. Le stelle del resto rimangono là, lontane lontane lontane, possiamo anche pensare che dove c'è il buio ce ne fosse ipoteticamente una. O ce ne sia una spenta. Nera. Che sul nero visibile da qui, non risalta più di tanto. Quel signore disse tante cose sulle stelle. E anche sui pianeti, tipo che se uno non ci fa attenzione e vede un puntino luminoso in cielo pensa che è una stella e invece poi se si fosse informato per benino avrebbe saputo che sta guardando un pianeta. Poi volendo uno si può anche informare proprio bene e sapere addirittura quale pianeta sta visionando nella notte buia e profonda ricca di mostri trasparenti trapuntati piuminati stellati e solitari (perché la loro caratteristica principale è comunque la trasparenza e tra di loro non si vedono e allora sono convinti che nell'immensità forse infinita dell'universo sono soli, invece si sbagliano, perché noi, o almeno quelli di noi che passano più tempo del dovuto a guardare il cielo, li vediamo e possiamo capire che sono svariati). Dopo aver accumulato un po' di nozioni sulle stelle, apparivo interessato all'argomento. Qualcuno pensa che sia brutto non accontentarsi della bellezza e voler vedere cosa ci sia dietro. Ma poi qualcun altro, con cui sono abbastanza d'accordo, disse che un bel tramonto, anche quando pensiamo che sia il frutto di una grossa fusione nucleare, resta comunque un bel tramonto. 
Capitò in seguito che quel signore mi regalasse il suo telescopio, una cosa che a me bambino sembrava enorme e forse lo era veramente. Aveva un filtro verde scuro per guardare la luna. Un altro filtro scurissimo serviva per guardare il sole. Le luci della città non erano l'ideale per scrutare il cielo. Lui per motivi suoi non aveva più da usare il telescopio, non gli serviva più. Credo di aver deluso molto le sue aspettative, anche se lui non l'ha mai saputo io il suo telescopio l'ho lasciato inutilizzato sul balcone e dopo poco tempo ho assistito al suo smembramento. Ci possono stare tante cose su un balcone: i vasi, gli innaffiatoi, dei cestoni, i fagiolini da tagliare, le biglie, le partite di pallone e il torneo di calcetto in solitudine, la gatta, i panni stesi, la valigia che prende aria, le scarpe bagnate, l'ombrello ad asciugare, io che leggo i fumetti. Il telescopio no, e ora da tanti tanti tanti anni non c'è più. Non saprei dire dove sono finiti i suoi pezzi e probabilmente avendo l'occasione non saprei neppure rimontarlo. Ma tanto le luci della città non sono l'ideale per scrutare il cielo. Adesso è ancor peggio rispetto a quell'epoca in cui ero bambino e il signore mi parlò delle stelle. 
Anni dopo, in un'epoca in cui forse per definirmi anagraficamente sarebbe azzeccato utilizzare il termine inglese teenager, mi capitò di passare dalla casa del signore delle stelle. Ogni volta che mi capita di passare sulla via in cui stava casa sua, penso a lui. E penso al suo gatto. I gatti e i cani sono anch'essi cristalli. Per me un gatto o un cane che ero abituato a vedere nel 1988, non ha ragione di essere morto. Potrebbe essere che sia ancora lì in quel cortile dove stava nel 1988. Casa sua puzzava di piscio di gatto all'ingresso, perché lì c'era la lettiera. Poi in sala c'era un odore abbastanza pungente di fumo. Fumava molto il signore delle stelle. Eravamo a casa sua per portargli un piccolo regalo. In quell'occasione, scoprii l'esistenza di Charles Bukowski e della follia come concetto ordinario. 
Passarono molti anni. In alcuni di essi mi capitò di parlare col signore delle stelle per telefono, normalmente inventando scuse per dire che mia mamma non era reperibile anche se in realtà lo era. Non per scelta mia per fargli sgarbo, erano ordini dettati dall'alto. Mi succedeva anche di incrociare il signore delle stelle per strada e di salutarlo, senza molte altre parole. Anzi, col tempo le parole divennero sempre meno. E anche gli incroci, perché spesso quando vedo una persona che conosco la evito. Anzi ogni tanto esco con la voglia di incontrare qualcuno che conosco giusto per cambiare strada e poi riuscire a non farmi vedere. 
L'ultima volta che parlai con l'uomo delle stelle, fu perché mi chiese se avessi un euro. Non perché mi conoscesse e gli servisse quell'euro in modo impellente per fare qualcosa di importante, ma perché era divenuta sua abitudine chiedere soldi ai passanti. Per comprarsi le brioche, il bicchiere di vino bianco all'osteria della stazione o le sigarette. 
La sanità mentale è un'imperfezione e negli anni l'uomo delle stelle aveva fatto un po' di passettini verso la perfezione. Ormai non lo si vedeva più in giro, pare che fosse finito in una sorta di comunità, non mi sono mai informato più di tanto. 
Arrivò anche l'ultima volta in cui lo vidi, magro, molto magro, rasato di barba e di capelli, sguardo vuoto e giacca pesante in un giorno caldo. E così l'ultima volta che lo vidi, pensai come fosse possibile che non avesse caldo. 
Questo post l'avrei voluto scrivere qualche mese fa, in estate, in occasione del suo funerale. Ma poi la mia pigrizia mi ha ostacolato. Ma ho ripensato a lui in queste sere, in questo paesino che non ci riesce molto bene ad assomigliare a una città, in cui le ore di buio sono più di quelle di luce, dove i lampioni ultimamente non si accendono e dunque quando il cielo è terso si vedono benissimo le stelle. 
Ciao Ennio.