venerdì 7 maggio 2010

Words are very unnecessary

Di tanto in tanto mi capita pure di leggere romanzi. I libri non li compro, preferisco prenderli in biblioteca e non tanto per una questione economica. Un po' anche perché non mi fido delle recensioni, ma neanche questo è il motivo principale. Andare in biblioteca di per sé è già una cosa caruccia. Lo scaffale che conosco meglio è quello delle letterature germaniche e nordiche (chi l'avrebbe mai detto eh!). Mi piace scegliere i libri, è una sorta di rituale breve ma intenso, in genere ne prendo tre per volta (nell'ultima occasione sono arrivato a quattro... mentre la bibliotecaria stava già segnando i prestiti, ho visto la guida alla Norvegia nuova nuova -del 2010- della The rough guide. Facciamo finta di informarci che tra un po' si torna là a lavorare). 
Affinchè un libro venga da me selezionato, deve avere alcune caratteristiche (non per forza queste si devono presentare congiuntamente): 
1-fondamentalmente non deve aver più di 200 pagine perché mi scoccia pensare che ci posso mettere più di un giorno a leggerlo (e non è che mi posso leggere 400 pagine di fila... se riuscissi a concentrarmi così tanto starei ancora studiando all'università!)
2-non deve essere stato estremamente consultato: mettiamo che un libro è stato preso dalla biblioteca nel 2000, se l'han preso in prestito solo tre persone allora la cosa si fa interessante. Anzi, quando trovo un libro che magari non è preso in prestito da cinque o sei anni, mi dico che allora è proprio il caso di leggerlo
3-una pagina deve avere qualcosa di particolare, tipo un moscerino spiaccicato, una sottolineatura a matita, uno strappeto. Così poi quando passerò di lì leggendo, ho un buon motivo per fare una pausa e pensare a come mai quella pagina è così. Ad esempio un paio di settimane fa ho letto "Il venditore di fontane" e su ben due pagine non contigue c'erano chiari segni di pneumatico da bici
4-il titolo deve dire qualcosa... ma questo è un trucchetto che molti scrittori usano apposta. Ci sono dei libri che in realtà hanno solo un bel titolo. Al più magari un bell'incipit, come "Memorie del sottosuolo", o una bella pagina iniziale, tipo "Jerusalem". Ecco, adesso mi tocca divagare un attimino... questo libro che poi è diventato un capolavoro della letteratura scandinava, inizia così: c'è uno che si chiede una cosa tipo quanto sarebbe bello se si riuscisse a essere felici all'ombra di un albero in una giornata di sole con una leggera brezza. Insomma, già che pronti via tiri fuori questa perla, c'era poi davvero tutto 'sto bisogno di scrivere altre 450 pagine? E soprattutto, già che si era nel campo col sole l'albero la brezza e insomma che vuoi di più dalla vita, era proprio necessario andare a Gerusalemme?
5-anche la copertina deve avere un suo perché. Gente disegnata male con una camicia gialla a fiori di pessimo gusto mi piace, ad esempio. Forse perché quel pessimo gusto mi ricorda il mio
6-un periodo in cui è stato scritto che quel giorno che sono in biblioteca mi piace. Una volta può essere che devono essere libri recenti, un'altra devono essere più vecchi. Ultimamente più recenti però
7-e l'autore dove lo mettiamo? Andrà considerato anche lui! Gente che non ho mai sentito nominare va benissimo. Anche se poi scopri che non è 'sto granché. Ma è per quello che i libri li prendo in biblioteca. Così se è una storia che non funziona, io sto a casa mia e il libro torna a casa sua, normalmente senza rancore.

Magari poi è solo una mia impressione, ma ultimamente i libri che sto leggendo finiscono in modo triste o intrinsecamente infelice. A parte quello di Simon Tofield, dove non muore nessuno e alla fine sono contenti sia lui che il gatto. Saran mica le parole a rendere la vita difficile?

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