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lunedì 1 gennaio 2024

Vol XVII

I'm not having any fun.

I'm over it. 

  1. Eels - Manchild
  2. Baiuca - Olvídame
  3. A Swarm of the Sun - I fear the end
  4. Sleepmakeswaves - One day you will teach to let go of my fears
  5. hecklAa - Yamuna
  6. Wardruna - Raido
  7. Lili Refrain - Earthling
  8. Portishead - The rip
  9. Placebo - Burger queen
  10. Gorillaz - On melancholy hill
  11. Band of Horses - The funeral
  12. Cigarettes After Sex- Nothing's gonna hurt you baby
  13. Still Corners - Berlin lovers
  14. Gísli Gunnarsson - Sky opener
  15. Daniele Silvestri - A bocca chiusa
  16. Huntza - Aldapan gora
  17. Giancane - Sei in un paese meraviglioso
  18. Gata Cattana - Lisístrata
  19. Creeds - Push up 
Durata: 79 minuti e 38 secondi...

giovedì 18 giugno 2020

Ricordi sbocciavano i rincospermi

Ho sempre pensato che, se proprio dovessi rinunciare a un senso, rinuncerei all'olfatto. Non ho cambiato idea ultimamente, lo penso ancora. In queste settimane però devo dire che alcuni odori che si sentono nell'aria costituiscono una delle poche cose capaci di portarmi lontano. Già che lontano, fisicamente, pare impossibile andare. Almeno per il momento. L'aria, quando si può respirare liberamente, porta con sé il profumo dei falsi gelsomini, che spesso si mischia con quello di altri fiori, che odorano di un caldo intenso e di ricordi confusi e lontani: sanno di succhi di frutta e di nonni, di trampolini elastici e di asfalto che scotta, di ghiaccioli al limone e di luci lontane, di ventole che ruotano tardi con l'unico soffio di vento della sera e di luna piena, di terra appena irrigata e telefonate perse. Preferisco il profumo silenzioso della betulla e del fungo, l'odore del freddo che frusta la pelle, ma quest'anno va così. L'ultima estate passata da queste parti fu quella del 2005. Allora fu per un virus che colpì solo me. Pare che quando si sta bene, non ci siano motivi validi per restare qui tra giugno e settembre. 

mercoledì 20 febbraio 2019

Quel giorno in cui stavo all'angolo della vecchia

Giusto un anno fa invece che qui stavo là, a Rincon de la Vieja. Rincon de la Vieja, o se preferite l'Angolo della Vecchia, è abbastanza lontano da qui. Diciamo 9500 km, forse qualcuno in più. Tanto lontano da qui, ma a occhio meno di 50 km dal confine con il Nicaragua. L'Angolo della Vecchia si trova nel nord della Costa Rica e giusto un anno fa io stavo là perché avevo voglia di vedere due cose: vulcani e bradipi. La Costa Rica è un paese che ancora oggi mi regala sempre due dubbi grammaticali: il primo è se si scriva tutto attaccato o staccato (pare vadano bene entrambe le forme), il secondo è se sia maschile o femminile (pare la seconda ipotesi). Comunque, era da molto tempo che volevo vedere vulcani e bradipi. Siccome il tempo ce l'avevo, i soldi anche, la voglia pure, decisi quindi di organizzare un viaggio da quelle parti. Il fatto che mi metta a scrivere qualcosa oltre un anno dopo è esclusivamente dovuto alla mia pigrizia. Per dire: tra meno di un anno e mezzo compirò quarant'anni e ancora devo scrivere il post che avevo in mente per i miei trent'anni. Mentre ero là, avevo anche iniziato a tenere un piccolo resoconto delle cose interessanti/curiose che mi capitavano... ma era un lavoro di costanza e sinceramente non ricordo neppure dove sono finiti quegli appunti, quindi scriverò eventi a caso con mancanza di dettagli interessanti ma dovizia di particolari irrilevanti. Che sia pigro l'ho già detto, quindi oggi parlerò esclusivamente del viaggio di andata e la puntata due chissà quando -e se- arriverà. Sì, lo so, lo sto scrivendo come se ci fosse un pubblico interessato. 

Siccome il gusto per il viaggiar male è qualcosa di insito nella mia natura, ancor prima di partire stavo sbarboneggiando in aeroporto, perché il primo volo era presto la mattina e non avevo voglia di svegliarmi alle 4, così già la sera prima ero pronto a lasciare casa. Ho scritto il primo volo, perché la soluzione più economica era fare tappa prima a New York e poi a Miami (con notte annessa) prima di giungere a destinazione. Piccola curiosità: la prima volta che prenotai il viaggio poi non riuscii a dormire per tutta la notte, perché avevo arrivo e partenza sì a New York, ma da due aeroporti distinti. Ho l'abitudine di prenotare i voli a notte inoltrata, quindi dovetti aspettare il mattino seguente per telefonare, cancellare e rifare i biglietti corretti. La notte di sbarboneggiamento passò abbastanza scomoda e tranquilla, nonostante non molto distante da me (anzi, direi eccessivamente vicino) ci fosse una coppia con un bambino che di tanto in tanto piangeva (il bambino, non la coppia). Tuttavia il sonno più profondo me lo giocai sul bus di connessione Milano Centrale-Malpensa. Il mattino successivo, il primo aereo decollò con notevole ritardo (forse per quello ci offrirono snack e bevande ogni venti minuti per il resto del volo?) e mi mise in una di quelle situazioni spiacevoli: avere fretta in aeroporto. Mi diedero pure il biglietto arancione fluo da mostrare come prioritario per accedere al secondo volo. Arrivai al gate di imbarco solo 15 minuti prima di imbarcare. E pensare che c'è gente che si abitua pure a 'ste cose. Se devo dire cosa metterei al primo posto tra le cose che mi danno ansia, penso proprio che direi arrivare in ritardo all'aeroporto. Che poi per me ritardo significa meno di due ore dalla partenza del volo, nel caso sia nazionale/ambito EU. In compenso, a Miami avevo poco meno di 12 ore di attesa. Nota a margine: a Miami il tramonto è veramente come nel telefilm CSI, mai visto un cielo così saturo. Nota a margine due: non credo che mangerò di nuovo quesadillas se dovessi ripassare da quell'aeroporto. Aeroporto di cui avevo letto delle recensioni particolarmente negative, ma in realtà posso dire che ci si dorme abbastanza bene, è pulito, ci sono un sacco di angolini tranquillini e c'è una specie di strana allegria e amichevolezza che serpeggia tra chi ci lavora che dà già un tocco di centro America all'ambiente. Che poi io ho come riferimento Orio al Serio e Malpensa, quindi magari può essere che negli standard mondiali faccia schifo. Del terzo e ultimo volo, ricordo soprattutto il dolore all'orecchio in fase di atterraggio. Penso sia stato il più potente che abbia mai avuto (a proposito di pigrizia, è da otto anni che mi riprometto di andare da uno specialista). Però ricordo anche la bellezza del mare intorno a Cuba e alle Bahamas. E pure quella sensazione che volevo proprio provare, tipo che stavamo atterrando all'isola Nublar per visitare Jurassic Park, perché le foreste che già si vedevano dall'alto un po' davano quell'idea. Di dinosauri, però, non ce n'erano. Evitando vari tassinari che a tutti i costi volevano darmi un passaggio, mi riuscì pure di prendere un bus che vagamente andava nella direzione che mi serviva e in seguito arrivai pure all'ostello. Dopo 46 ore da quando avevo lasciato casa, c'era finalmente un letto in cui dormire.

venerdì 28 dicembre 2018

Non eravamo una banda di idioti, ma una manica di pirla


Il 29 luglio per me fu un giorno bello. Non perché fosse domenica, in fondo per me i giorni della settimana, in particolar modo tra maggio e settembre, non fanno una gran differenza. Più ancora del giorno, fu la serata del 29 luglio ad essere particolarmente bella, anzi una delle migliori dell'estate: si mangiava gelato e si parlava di unicorni. 
Il mattino seguente c'era il sole, io stavo al porto aspettando che arrivasse la nave con cui lavoravo quel giorno. Fu lì che ricevetti il messaggio. Poche parole, neanche dieci. "Ragazze, ho una notizia bruttissima: è morto il Gio".
Il Gio. Verso la fine del 2014 c'eravamo parlati un'ultima volta, dopo svariati anni. Non perché avessimo litigato o per qualsiasi tipo di dissapore, ma, come spesso accade, semplicemente perché si percorrono strade diverse, e non solo in senso figurato. Non si passava più dai soliti bar. E poi si era pure trasferito, non lontano, forse una dozzina di chilometri, quel tanto che basta per non incrociarsi mai e infatti, dal 2014, ricordo di averlo visto una sola volta, io a piedi e lui in auto, senza che lui mi notasse.
Insomma, era una persona che ormai era uscita dalla mia vita e neanche da poco tempo, direi da un decennio abbondante.
Il fatto è che prima, invece, ne faceva parte in maniera assidua. Avevamo iniziato a frequentarci a causa della pallavolo. Quando io andai a schiacciare i miei primi palloni, lui già faceva parte della squadra. Io avevo 16 anni, lui 21. Giocavamo in un posto che definire palestra è eccessivo: le linee di delimitazione si trovavano solo a una manciata di centimetri dalle pareti di cemento. E come quel campo veniva imprigionato in uno spazio tanto stretto, la sua bravura e quella di altri miei compagni di squadra (mi sfilo tranquillamente dal gruppo, io sono sempre stato uno scarsone) restava incatenata anno dopo anno ai campionati di periferia del CSI, tra le squadre dell'oratorio e quelle formate dai cinquantenni che continuavano imperterriti a non attaccare le ginocchiere al chiodo. Così nell'anno in cui salutai tutti e me ne andai in Svezia, lui e gli altri decisero di provare a puntare un po' più in alto. Niente di che, ma effettivamente nel giro di due anni arrivò una promozione in serie D. Alla fine della stagione successiva, la squadra si sciolse. Di quell'esperienza ricordo soprattutto due cose: una grigliata al lago in attesa di una partita mai giocata causa Giovanni Paolo II morente (e da allora posso fregiarmi del fatto di essere stato convocato a giocare in serie D una volta ogni morte di papa) e una telefonata a lui, il presidente, per dirgli che dovevo pagare una porta in vetro che avevo mandato in frantumi con un calcio. Un'altra porta sfasciata fu probabilmente il momento più intimo con lui. 
Oltre alla pallavolo c'era molto altro: i sabati sera a bere i cubini, i pomeriggi a pesca (io dilettante assoluto, lui che si costruiva le mosche da solo). La musica. A quel tempo internet andava a 56k, in due ore se andava bene si scaricava una canzone, quindi ci scambiavamo ancora cd e addirittura cassette. Se non ricordo male il primo album che mi prestò fu Rust in Peace dei Megadeth. Poi c'erano i concerti. Tra gli ultimi: Rammstein, Apocalyptica (al Rainbow di Milano alle 18!), Elio. L'ultima volta che ci eravamo parlati mi aveva dato l'indirizzo web del gruppo in cui suonava, dicendomi di fargli sapere cosa ne pensavo. Non ho mai visitato quel sito, non gli ho mai fatto sapere cosa ne pensavo. Ma due settimane fa sono andato a un concerto in sua memoria e ho sentito le sue linee di basso. Non l'avevo mai sentito suonare prima. 
Tra qualche minuto sarà il 29 dicembre. Saranno passati 5 mesi da quel bel giorno d'estate e da quella bella sera di unicorni e gelato. Nel frattempo ho imparato che gli amici, se veramente sono stati tali, per quanto possano prendere una strada diversa, lasceranno per sempre un'impronta profonda nella nostra anima.

venerdì 29 dicembre 2017

Dieciscatti nello stagno

+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-Un edificio in legno, a pochi metri da quel che chiamano comunque mare. Non so se ci sia il sole o se stia piovendo, c'è sicuramente un vento che mi avvolge, forte e delicato. Penso possa esserci il sole.

+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-L'attraversamento pedonale più celebre stampato nella mia memoria. Non è Londra, non ci sono i Beatles.

+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-All'improvviso, è come se si ritovassero allineati tutti gli astri, tutti i pianeti. Un momento di perfezione. Il legno, il fuoco. Le rane.

+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-Il sole, la montagna, maestosa, sul fondo. Ma è un deserto che brucia. Intanto le zebre parlano, i Ramones cantano, premonitori, che le cose non durano per sempre. E in qualche modo, baby, non lo fanno proprio mai.

+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-Nel ritmo incessante delle stagioni, non cambia nulla: è di nuovo un autunno a seguire ll'estate, le fragole si declinano al maschile in un nuovo abc. Un gradino qualsiasi diventa uno spazio meraviglioso.

+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-Accanto alla metro c'è un parco. Ci sono diversi cani, si intravedono tra le altalene, gli scivoli, le panchine prive di listelli e cariche di scritte. La nebbia sfuma i colori già bui. Cala l'umidità, ma tra le mani si sente un calore di grandezze diverse, un caldo che dà i brividi ed è difficile, se non impossibile, da spiegare.

+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-Una piccola lastra trasparente sormontata da un tubetto metallico giallo ci divide. All'epoca non pensavo sarebbe stato per sempre. Rimane solo il profumo di lampone intriso su un piccolo pezzo di gomma elastica, fin quando non svanìsce pure quello.

+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-Una danza nella neve, che di quest'ultima conserva solamente il freddo. Poi si trasforma solo in una danza nella nebbia, con una sola luce distante e imprigionata in una fessura. La mattina i gabbiani volano come falchi, io mi limito a camminare veloce, ma non leggero.

+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-Una sera piovosa, molto piovosa, esco quasi all'improvviso. Due birre, diverse risate, una ghianda. Tutto ciò non è nei piani. Anche dopo le due birre, le diverse risate e la ghianda, continua a piovere tanto, moltissimo. Sarebbe uguale anche se fosse in un film. Gocce che corrono così veloci da sembrare piccole frustate tra gli occhi. Pare quasi spontanea, naturale l'offerta di un riparo, di un posto per scaldarsi. L'ultimo treno sembrava solo in transito, invece sta rallentando. Si ferma. Si aprono le porte. Non salgo.

+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-Un'epoca molto più recente, una strada conosciuta, fatta innumerevoli volte. Mi fermo, al margine del marciapiede. Da lì sono passate migliaia di persone. Probabilmente continueranno a passarcene altrettante. Un tempo era successo che tutto si trovasse lì. Era passato anche un momento in cui si avevano migliaia di futuri a disposizione. Invece ora c'è un momento in cui, tutt'intorno, non resta che aria. Non si vede nessuno all'orizzonte. Tutto vuoto: la larghezza, l'altezza, la profondità, il tempo.

venerdì 21 aprile 2017

Di cuori blindati

In Polonia ci sono molti ponti. Come in tanti altri posti. La maggior parte dei ponti su cui sono passato mentre ero là serve per passare da una parte all'altra della Vistola, un bel fiume di quelli lunghi lunghi lunghi, tipo che è nella top venti dei fiumi più lunghi che abbiamo in Europa. Come in tanti altri posti, sui ponti che servono per passare da una parte all'altra della Vistola gli innamorati ci mettono i lucchetti, ci sono alcuni ponti dove se uno volesse mettere il suo lucchetto farebbe quasi fatica a trovare posto. Ho visto addirittura gente che ha il proprio banchetto dove vende calamite, portachiavi, accozzaglia di souvenir e lucchetti da apporre sul ponte. Perché gli innamorati passano anche dalla Polonia, fortunatamente ci può passare anche chi non è innamorato o lo è in modo incostante o poco serio o non troppo impegnativo, ma comunque gli innamorati vanno in Polonia (o ci sono già) e mettono i loro lucchetti sui ponti. Come gli innamorati di Milano che stanno a Milano e vanno sui ponti che attraversano il Naviglio Grande, o come gli innamorati di Londra che vanno sui ponti che atraversano il Tamigi. Tutti a mettere lucchetti sui ponti. Io non ho mai messo un lucchetto sul ponte, però mi sono informato e pare che se uno vuol fare le cose per benino non deve tenersi la chiave, anche se ormai i lucchetti hanno anche quella di riserva e si potrebbe fare che ognuno tiene la sua e allora non c'è neanche bisogno di litigare. Ma il motivo non è che poi si litiga per decidere chi deve tenere la chiave: la chiave va gettata perché così diventa una cosa simbolica. Dove si butta? In un cestino dei rifiuti credo di no, perché magari non è tanto romantico. Forse in fondo al fiume. Insomma, 'sti lucchetti servono per dire che due vogliono stare insieme per sempre. Per questo chiudono il loro amore a chiave. E poi la gettano. Così se uno cambia idea dovrebbe andare sul fondo della Vistola, cercarsi la chiave giusta e poi (se non è arrugginita) aprire il lucchetto e... boh, lasciarlo aperto, penso. Terribile, veramente terribile. Io non ho molto a che fare con l'amore, ma me lo immagino come una cosa libera e leggera, che va e viene, senza l'obbligo di essere sempre lì, forse svolazza pure, senza quella pesantezza che lo terrebbe a terra, come la tristezza di quei calabroni che da qualche parte han letto che sono troppo pesanti per volare e si adeguano, e non volano più e stanno sui prati a invidiare le api. L'amore me lo immagino che svolazza in modo un po' goffo, come quelle mosche che sembrano ubriache, o come quelle farfalle che se le segui con lo sguardo pensi che siano veramente indecise su dove andare ad appoggiarsi, perché non fanno in tempo ad arrivare su una foglia o su un sasso che subito ripartono. Ma si sa che tante farfalle vivono poco, quindi magari non vogliono passare tutto il tempo nello stesso posto, è comprensibile da parte mia. Ma si diceva dell'amore, che per me svolazza libero e anche un po' sorridente. Invece quelli che conoscono l'amore più di me perché gli è entrato dentro quando si sono innamorati, lo inlucchettano e poi fanno catene di lucchetti, c'è molto amore incatenato sui ponti del mondo. Si blindano i cuori così l'amore non esce più. Lo mettono sottochiave così che rimanga per sempre.

How I've waited for you to come
I've been here all alone
Now that you've arrived
Please stay a while
And I promise I won't keep you long
I'll keep you forever

domenica 1 gennaio 2017

Vol. X

Un altro anno riassunto in (poco, pochissimo meno di) 80 minuti.
  1. Aarktica - Happy anyway
  2. Marlene Kuntz - Ape regina
  3. Gathering - Mandylion
  4. Laibach - Mach dir nichts daraus
  5. Félperc - Going nowhere
  6. Rolling Stones - Paint it black
  7. George Baker Selection - Little green bag
  8. Dmitrij Šostakovič - Waltz no. 2
  9. Indignu - Capítulo I  Onde as nuvens se cruzam
  10. Frank Sinatra - Where are you?
  11. Radiohead - Creep
  12. [kataplismik] - Regarde
  13. Tired Army - January
  14. Otis Redding - (Sitting on) the dock of the bay
  15. The Space Lady - Gosth riders in the sky
  16. Eduardo Gatti - Los momentos
  17. Trio Los Panchos - Quizás, quizás, quizás 
  18. Joy Division - Love will tear us apart
Durata: 79 minuti e 53 secondi...

venerdì 30 dicembre 2016

Dieciscatti 2016 la carica dei 300

+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-Ho visto le porte scorrere lentamente per chiudersi giusto davanti a me, come nei film si chiudono davanti alla faccia del protagonista, mentre parte una musica leggermente triste in sottofondo. In una commedia, al posto della musica triste, il protagonista con un colpo di scena all'ultimo secondo sarebbe saltato tra quelle porte e tutto sarebbe finito bene. Invece fuori dalla commedia tutto sarebbe finito e basta. In quel momento ci sono altre persone intorno, non tantissime ma neppure poche, eppure è come se mi avessero messo in una cella di massima sicurezza, isolato. Per un attimo c'è uno sguardo a cui ancora do importanza, cerco di leggerci parole che probabilmente non ha mai voluto esprimere, una mia libera interpretazione.

+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-Un gesto di stizza, un insulto malcelato, una reazione strabordante. D'un tratto la mano è sul collo e stringe la presa, avvolgente. Posso sentire la lenta ricrescita di una barba che si intuisce poter essere folta, a cui segue una zona di pelle morbida. Sotto, la cartilagine lievemente appuntita del pomo d'adamo si muove al ritmo delle deglutizioni, mentre di lato si può sentire il leggero pulsare della carotide e il calore del sangue. Un uomo così grande sembra avere gli occhi improvvisamente piccoli, pure se ora sono spalancati. La bocca leggermente aperta gli conferisce un'espressione incredula e spaventata. Stavolta non è una libera interpretazione, quello sguarda significa proprio paura. Ogni tanto sento ancora sulle dita il piacere sadico di quella presa e anche se il mio sguardo non lo ammette, capita anche a me di aver paura.

+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-Una carta magica che mi ha permesso più volte di galleggiare, i gemelli che si inseguono e litigano per decidere se stare all'ombra o al sole. 

+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-Ho visto un'amica, con il gusto di rivedersi dopo tanto tempo e ritrovarsi al primo abbraccio con la stessa sintonia di dieci anni prima. L'ho sentita scorrere e crescere nei suoi racconti, divenuta così diversa da quella ragazza che avevo conosciuto all'epoca, ma così uguale nelle nostre battute e nella capacità di capirsi al volo.

+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-Un casolare esteticamente rivedibile, un parallelepipedo bianco nel mezzo dei campi e dei vigneti, con molti lavori in corso, un salone adibito ad area tiro con l'arco giapponese, una roulotte semiribaltata all'inizio del viale, in curva, per rendere difficile il passaggio delle macchine. Nello stanzone che fa da soggiorno e da cucina uno o più topi attendono le tenebre per sgranocchiare lo sgranocchiabile. Sul soffitto molti folcidi e senza che me ne renda conto per la prima volta dormo senza terrore di avere degli aracnidi a poca distanza da me.

+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-La neve, un unico giorno di neve in quel paese dove passo le mie estati. Un unico giorno in cui tutto è coperto di bianco, come ci si aspetterebbe che sia lassù al nord. Quel giorno ho avuto la fortuna di poter fare un giro in tranquillità, con quel rumore di ossa sbriciolate sotto i piedi, godendo del vento freddo e dei cristalli che sferzavano la pelle. Un unico giorno in cui all'indifferenza scontata e triste degli adulti ho preferito la gioia dei bambini.

+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-Il fuoco ha bruciato tutto il bruciabile, sono passati mesi da quando è accaduto, ma l'odore è ancora forte e ben presente. Mi piace quel tipo di odore di legno bruciato che mi ricorda di tempi in montagna, della pizzetta del mercoledì tornando dal mercato, una delle poche interruzioni della routine, oppure la stufa di una casa austera di pietre chiare, così in contrasto con il buio interno. Ma lassù è rimasto solo il nero degli arbusti bruciati, una chiazza molto ampia che si vede anche dal minuscolo gruppo di case in cui mi trovo a passare qualche settimana. Non passerà inosservata per lungo tempo.

+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-Il regno di ghiaccio. Il collo del gatto. Ha un nome morbido ma una salita dura. Una camminata che porta direttamente sul ghiacciaio, il vento soffia tra le spianate azzurre. Visto da lassù sembra enorme, rende risibile ciò che l'occhio del turista vede (e apprezza) normalmente.

+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-Il sottosuolo mi affascina. Non solo nella sua accezione di dimora per cadaveri, ma anche per quella sua capacità di aprirsi improvvisamente in regge eleganti, saloni maestosi retti da pilastri in eterna costruzione, goccia dopo goccia, millennio dopo millennio. Una delle meraviglie della natura: mentre noi corriamo con le nostre vite piene di affanni e vuote di paziemza, ci preoccupiamo del tempo che passa inesorabile, lasciando poi spazio ai nostri figli, ai nostri nipoti, poi ancora ai nipoti dei nipoti e alle loro preoccupazioni, una goccia si affaccia lentamente e timida si chiede "che faccio, mi butto?", senza che la goccia alle sue spalle le dica mai di sbrigarsi.

+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-Frammenti di vita che restano legati a persone di passaggio, attimi di bellezza che ci scambiamo con gente che non abbiamo mai visto prima e che probabilmente non rivedremo più. Dalla bruttura della massa si ergono all'improvviso figure che destano interesse. Negli aeroporti, in una stazione, in una camera sovraffollata di un ostello. Come Simon, pazzo hooligan olandese, Aielet che vuol costringermi a fumare, una giovane tedesca di cui non ho saputo neppure il nome con cui si parla di viaggi per tutta la sera, Olivia che è da un anno e oltre che va in giro per l'Europa e nel suo campionario di esseri sottoposti ai suoi studi psicologici per qualche ora mette pure me. O come una ragazza con un nome luminoso e un sorriso ancora umido che mi dorme accanto stanca ma tranquilla e rassicurata solo dalla presenza di uno sconosciuto.

martedì 8 novembre 2016

The starman

In un'epoca in cui definirmi bambino era più che accurato anche -e forse soprattutto- da un punto di vista prettamente anagrafico, capitò che ci fu una sera in cui arrivò un signore a passare del tempo in ciarle nella casa in cui stavo e in cui di tanto in tanto mi capita di stare pure nell'attualità. Quel signore parlava parlava parlava, snocciolava parole su parole inerenti ad argomenti che non ricordo io e probabilmente non ricordano neppure gli altri presenti. A un certo punto però mi parlò delle stelle, evidenziando come esse non fossero tutte uguali tra loro e come fossero diverse da quanto io bambino anagrafico -e non solo- mi aspettassi. Nane rosse. Nane bianche, quelle degeneri delle nane bianche! Nane nere, eventualmente, non certe, ipotetiche. Le stelle del resto rimangono là, lontane lontane lontane, possiamo anche pensare che dove c'è il buio ce ne fosse ipoteticamente una. O ce ne sia una spenta. Nera. Che sul nero visibile da qui, non risalta più di tanto. Quel signore disse tante cose sulle stelle. E anche sui pianeti, tipo che se uno non ci fa attenzione e vede un puntino luminoso in cielo pensa che è una stella e invece poi se si fosse informato per benino avrebbe saputo che sta guardando un pianeta. Poi volendo uno si può anche informare proprio bene e sapere addirittura quale pianeta sta visionando nella notte buia e profonda ricca di mostri trasparenti trapuntati piuminati stellati e solitari (perché la loro caratteristica principale è comunque la trasparenza e tra di loro non si vedono e allora sono convinti che nell'immensità forse infinita dell'universo sono soli, invece si sbagliano, perché noi, o almeno quelli di noi che passano più tempo del dovuto a guardare il cielo, li vediamo e possiamo capire che sono svariati). Dopo aver accumulato un po' di nozioni sulle stelle, apparivo interessato all'argomento. Qualcuno pensa che sia brutto non accontentarsi della bellezza e voler vedere cosa ci sia dietro. Ma poi qualcun altro, con cui sono abbastanza d'accordo, disse che un bel tramonto, anche quando pensiamo che sia il frutto di una grossa fusione nucleare, resta comunque un bel tramonto. 
Capitò in seguito che quel signore mi regalasse il suo telescopio, una cosa che a me bambino sembrava enorme e forse lo era veramente. Aveva un filtro verde scuro per guardare la luna. Un altro filtro scurissimo serviva per guardare il sole. Le luci della città non erano l'ideale per scrutare il cielo. Lui per motivi suoi non aveva più da usare il telescopio, non gli serviva più. Credo di aver deluso molto le sue aspettative, anche se lui non l'ha mai saputo io il suo telescopio l'ho lasciato inutilizzato sul balcone e dopo poco tempo ho assistito al suo smembramento. Ci possono stare tante cose su un balcone: i vasi, gli innaffiatoi, dei cestoni, i fagiolini da tagliare, le biglie, le partite di pallone e il torneo di calcetto in solitudine, la gatta, i panni stesi, la valigia che prende aria, le scarpe bagnate, l'ombrello ad asciugare, io che leggo i fumetti. Il telescopio no, e ora da tanti tanti tanti anni non c'è più. Non saprei dire dove sono finiti i suoi pezzi e probabilmente avendo l'occasione non saprei neppure rimontarlo. Ma tanto le luci della città non sono l'ideale per scrutare il cielo. Adesso è ancor peggio rispetto a quell'epoca in cui ero bambino e il signore mi parlò delle stelle. 
Anni dopo, in un'epoca in cui forse per definirmi anagraficamente sarebbe azzeccato utilizzare il termine inglese teenager, mi capitò di passare dalla casa del signore delle stelle. Ogni volta che mi capita di passare sulla via in cui stava casa sua, penso a lui. E penso al suo gatto. I gatti e i cani sono anch'essi cristalli. Per me un gatto o un cane che ero abituato a vedere nel 1988, non ha ragione di essere morto. Potrebbe essere che sia ancora lì in quel cortile dove stava nel 1988. Casa sua puzzava di piscio di gatto all'ingresso, perché lì c'era la lettiera. Poi in sala c'era un odore abbastanza pungente di fumo. Fumava molto il signore delle stelle. Eravamo a casa sua per portargli un piccolo regalo. In quell'occasione, scoprii l'esistenza di Charles Bukowski e della follia come concetto ordinario. 
Passarono molti anni. In alcuni di essi mi capitò di parlare col signore delle stelle per telefono, normalmente inventando scuse per dire che mia mamma non era reperibile anche se in realtà lo era. Non per scelta mia per fargli sgarbo, erano ordini dettati dall'alto. Mi succedeva anche di incrociare il signore delle stelle per strada e di salutarlo, senza molte altre parole. Anzi, col tempo le parole divennero sempre meno. E anche gli incroci, perché spesso quando vedo una persona che conosco la evito. Anzi ogni tanto esco con la voglia di incontrare qualcuno che conosco giusto per cambiare strada e poi riuscire a non farmi vedere. 
L'ultima volta che parlai con l'uomo delle stelle, fu perché mi chiese se avessi un euro. Non perché mi conoscesse e gli servisse quell'euro in modo impellente per fare qualcosa di importante, ma perché era divenuta sua abitudine chiedere soldi ai passanti. Per comprarsi le brioche, il bicchiere di vino bianco all'osteria della stazione o le sigarette. 
La sanità mentale è un'imperfezione e negli anni l'uomo delle stelle aveva fatto un po' di passettini verso la perfezione. Ormai non lo si vedeva più in giro, pare che fosse finito in una sorta di comunità, non mi sono mai informato più di tanto. 
Arrivò anche l'ultima volta in cui lo vidi, magro, molto magro, rasato di barba e di capelli, sguardo vuoto e giacca pesante in un giorno caldo. E così l'ultima volta che lo vidi, pensai come fosse possibile che non avesse caldo. 
Questo post l'avrei voluto scrivere qualche mese fa, in estate, in occasione del suo funerale. Ma poi la mia pigrizia mi ha ostacolato. Ma ho ripensato a lui in queste sere, in questo paesino che non ci riesce molto bene ad assomigliare a una città, in cui le ore di buio sono più di quelle di luce, dove i lampioni ultimamente non si accendono e dunque quando il cielo è terso si vedono benissimo le stelle. 
Ciao Ennio.

venerdì 11 marzo 2016

Och tåget rullade en gång till

Dopo l'uno, senza sorprese si presentò il due. Il problema sul quando stare altrove fu mitigato da eventi sportivi in cui si rividero diversi ex compagni di viaggio in quel mondo della pallavolo che ancora fa sentire la sua assenza quando sempre più raramente mi capita di metter piede in una palestra. L'ultima volta, proprio in quel palazzo, dopo un'entrata trionfale accompagnata da insulti di un'intera tifoseria, ci fu l'unico trofeo. Dopo anni, ci fu una stretta di mano e un ringraziamento a chi mi portò la coppa sotto gli occhi. All'uscita pioveva, sia dentro che fuori. 
Una mattina mi ritrovai alla stazione dei bus in quel posto dove circa vent'anni prima avevo visto chissà quanti concerti, attaccato alle casse, con le botte fisse sulle creste del bacino, tra l'odore di birra e di marijuana. Invece ero a tanti anni e qualche centinaio di metri di distanza da tutto ciò, con una valigia rossa e un adesivo polacco in attesa. All'arrivo fu Nizza, troppo italiana, tra topi, l'uomo nero e un carnevale che non mi fece divertire. Un passaggio sulle montagne, un altro di ritorno verso il confine, un monastero lasciato vuoto, il freddo al pensiero di dio, la rabbia al pensiero che un pezzo di carta basti a stabilire chi siamo e dove possiamo andare. Venne il tempo di andare a Marsiglia, di cambiare i programmi e di starci solo due giorni, tra il distruttore di Roma e l'aiutante dei siriani. Poi Montpellier. In stazione un tossico rovinò l'entrata in scena. Un giorno piovve forte, fortissimo. Un solo giorno. I gatti miagolavano alle cinque di mattina. Io ero già sveglio, a volte in contemplazione di una madonna dipinta che il tempo aveva velocemente scrostato, rendendola inesistente. A tratti sembrava ci fosse troppo tempo, un'abbondanza da lasciare vuota, non avevo nulla da aggiungere, il mio stupore era fuori luogo e del resto neppure io appartenevo a quel posto. Persi a briscola e non fu un caso. Ci fu da partire e stavolta ero io che lasciavo. C'è sempre un paio d'occhi che se ne va prima dell'altro. A Nîmes passai quel giorno che tre volte su quattro non esiste, incontrando la solitudine. Era davvero in forma e decise di restare.

martedì 29 dicembre 2015

Dieciscatti 2015 light blue edition

+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-Una gatta che miagola dietro una porta chiusa, sta nevicando forte ed è mattino presto. Molto presto, tipo le 6,15. Apro la porta. La gatta mi guarda e mi attende, sprofondata nella neve. Io sono in pigiama e infradito. Lascio le infradito, faccio un passo in avanti, la neve mi arriva fino a oltre le caviglie, ce ne saranno venti centimetri. La gatta non mi attende più.

+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-C'è un gatto. Ma è un altro gatto, lontanissimo da quello di prima. Sta sdraiato in fondo al giardino. Lo guardo. Mi guarda. Sono lì fermo ad aspettare e allora arriva. Mi fa felice la sua voglia di vedermi. Mi fa triste il suo bisogno di vedermi. Andiamo insieme ad accarezzare le betulle, che non si esprimono quasi mai sulle loro necessità affettive.

+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-Tra le luci di una città mai vista prima, saliamo verso il cielo. Io e una persona mai vista prima. Saliamo solo di pochi metri e a scatti. A tratti ci guarda, minaccioso ma immobile nella sua posa forse troppo stereotipata, un tirannosauro. Poco oltre l'acqua scorre, con una veemenza limitata dal ghiaccio. Qualche settimana dopo, mi capiterà di pensare che siano le sette di sera quando invece sono quasi le dieci.

+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-Guardo verso l'esterno, ci sono solo due piccole linee di luce. Non danno fastidio, anzi sono quasi da considerarsi un lusso. Non c'è spazio per le ombre, ma non occorre vedere tutto il tempo quel che si sa già che c'è. Non fa freddo quando ci si sveglia. Ma è presto, troppo presto. Fa male aspettare che arrivi un'ora prestabilita. Sono notti da Chopin.

+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-Io l'aurora boreale non l'avevo mai vista prima di quel giorno. Me la immaginavo diversa. Ma è solo settembre e siamo a sud, è già tanto che si veda. Una luce bianca che non danza, ma a modo suo pare armoniosa. Non ha la pesantezza di chi non sa ballare. Leggera pulsa e se ne va, poi torna, si fa più intensa, si allontana. Torna. E non c'è più.

+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-Uno scoglio quasi sulla spiaggia. Con la bassa marea forse l'acqua non lo coinvolge. Ma in quel momento lui sta lì in mezzo e le onde si spezzano. Alcune sono tenaci e gli girano intorno, si incontrano di nuovo per poi ritornare da dove sono venute. Altre sono deboli. Due gocce che fino a un attimo prima erano legate d'un tratto si infrangono sulla pietra e non hanno una spinta sufficiente per rivedersi alle sue spalle. Perse forse per sempre.

+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-Il sentiero è coperto di foglie, del resto l'autunno avanza e non ci sarebbe da stupirsi se dovesse iniziare a piovere violentemente. Non importa, bagnarsi è una delle opzioni contemplate. Sono in competizione con chiunque sia davanti a me. L'ultima volta che ero salito in montagna era stato oltre due mesi prima, era ancora estate però a tratti aveva piovuto. Era stata una salita violenta. come questa. La meta non la conosco. Non so il dislivello. Non so quanta strada ci sia da fare. Basta fare un passo dopo l'altro per vedere dove si arriva. Se si fa tardi, si può tornare indietro senza essere arrivati. Può essere una di quelle occasioni in cui l'importante non è la meta, ma l'essenza del viaggio stesso. In alcune zone il vento è tanto forte da spezzare i rami, alcuni cadono non lontano da me. Sul sentiero ci sono anche alcuni tronchi, forse caduti di recente.

+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-C'è un posto sotto cui non non ho identificato esattamente cosa potesse scorrere, circondato da cadute fatali. Da lì normalmente non si vede nessuno, ma si vedono molte cose. Erba, acqua, fili, silenzio, parole, corde, fiori, lamponi. Quasi sempre il sole. Mai altre stelle.

+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-Nelle vetrine ci sono animali esposti da quasi un secolo. Faccio fatica a capire se la luce si accende o si spegne, se la porta si apre o si chiude. Ma è il contrario di quel che è stato fino a quel momento. Un muro tra due mondi c'è sempre stato, ma in qualche modo il fluire di uno nell'altro era possibile. Ora è arrivato il periodo dell'aridità e tutto, ma proprio tutto, si fa deserto. Nei rari spazi in cui resiste poca acqua, ci sono sabbie mobili. Dietro la porta ora c'è una parete compatta e sigillata. Nulla entra e nulla esce. Si deve scegliere in che mondo stare, a quale appartenere. In basso si nota un corvo imperiale, a differenza delle rondini nere penso che nasconda qualcosa di più che una minima intenzione simbolica.

+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-Sono in ritardo. Il sole è quasi sparito, ma non importa. Il giorno è adatto per andare sott'acqua. I sassi, le alghe, il freddo. Inciampo più volte ma non cado, faccio un piccolo salto e di colpo l'aria non c'è più. Salto, c'è ancora per un istante. Poi di nuovo tutto si fa liquido. Apro gli occhi, così anche i miei si bagnano di acqua salata. Anche se in quel punto il sale non si sente per niente. Potrei vedere di nuovo com'è la situazione là fuori. Torno sotto e decido di fare una piccola visita alla morte, apro la bocca e respiro acqua. Diminuisce l'intensità della luce. Per il momento però non posso ancora farle molta compagnia, non è carino quando fuori c'è gente che aspetta.

lunedì 30 novembre 2015

Bulgarian wood

Non pensavo che l'ultima -probabilmente- trasferta del 2015 mi avrebbe portato laggiù. E invece, il 21 mattina alle ore 11 e 15 locali, mi ritrovavo ad atterrare all'aeroporto di Sofia. Dopo aver lasciato parte dello stomaco tra i saliscendi dei vuoti d'aria, per iniziare al meglio l'esperienza in una nuova terra straniera segnata profondamente da una quantità inusuale -per me, ovvio- di caratteri cirillici. 
In parte il viaggio era stato deciso dal caso (del tipo che una settimana prima avevo cercato "ovunque" come possibile destinazione, affidandomi poi a una delle soluzioni più economiche, per la precisione la terza, alle spalle di Lourdes e di Poznań), in parte era stato deciso da altri (del tipo che avrei voluto organizzare degli spostamenti per andare a trovare qualche persona che però o non mi ha più fatto sapere nulla o è stata colta da imprevisti imprevedibili troppo cronoassorbenti), in parte era stato deciso da un'idea mia piuttosto stupida (del tipo che l'ultima persona con cui ci si era reciprocamente proposti di vederci era Sofia, da qui la decisione che se non potevo andare da Sofia, allora sarei potuto andare a Sofia, giusto per una simpatica coincidenza dei due nomi e la sola mancanza di una d). Dunque niente Portogallo, ma Bulgaria. L'aeroporto di Sofia ha una cosa che mi è subito piaciuta: è attaccato alla metropolitana, quindi a parte la fatica di trovare la navetta per arrivare al terminal 2, non c'è lo sbatti di cercare il bus giusto per arrivare in città. E pure l'ostello dove sono stato aveva la stessa caratteristica: ci sono arrivato quasi senza perdermi (sbagliare un paio di vie mi pare accettabile). Comunque la cosa che veramente mi premeva era farmi un giro sulla Vitoša. Non che mi premesse da una vita, neanche da qualche anno o addirittura pochi mesi: no, mi premeva da una settimana, giusto il tempo di scoprire come si chiamano le montagne intorno a Sofia. Chiaramente non avevo idea di come fossero i sentieri, di cosa si potesse vedere né di come si arrivasse da quelle parti, e chiaramente essendo arrivato di sabato l'ufficio turistico era chiuso e lo sarebbe stato fino al lunedì mattina. Troppo tardi, io volevo andare sulla Vitoša il prima possibile. Quindi dopo una prima giornata girando qua e là, finalmente il secondo giorno è stato il momento di salire in montagna. Per andare dove? La risposta l'ho trovata grazie a Google: mi avevano detto del monastero blablabla e delle cascate blablabla, ma già che non sapevo dove prendere il bus 63, ho deciso che era più facile prendere il tram 5. Solo non sapevo quanto distante fosse quella meta improvvisata, né il dislivello da affrontare, né le condizioni del sentiero. Beh, il sentiero era facile e largo, tra andata e ritorno stimo una dozzina di kilometri, quindi prima che facesse buio ero di ritorno. Mi fa bene stare nei boschi. Forse perché i boschi sono un posto in cui è più giusto che altrove stare da soli. E poi ho potuto abbracciare di nuovo delle betulle, che non mi fa male. Per la cronaca, alla fine mi sono ritrovato a Zlatnite Mostove, da cui passò pure Morgan Freeman, per dire. La passeggiata nel bosco è stata la cosa più bella che ho fatto da quelle parti. Anche perché nel sacchettino di frutta secca che avevo meco c'era pure l'ananas disidratato e addirittura dei pezzetti di cocco. Il giorno successivo invece ho provato una di quelle sensazioni che d'impatto sembrano destinate a cambiare la vita. Me ne stavo a guardare una serie di passeriformi imbalsamati, pensando al fatto che probabilmente si trovavano lì da circa ottant'anni, quando d'improvviso qualcosa è cambiato totalmente. Si è spenta una luce, si è chiusa una porta, è morta una cosa che non so come definire. Qualcosa che assomigliava a una capacità di sapersi illudere sempre, ovunque, comunque. Al dolore quasi fisico ne é seguita una calma simile a quella che si può avvertire nel momento in cui sopraggiunge la rassegnazione. Ho l'impressione di essere diventato un po' peggiore quel giorno. Alle 4.22 del mattino successivo, l'ultimo grido, disperato, addolorato, acutissimo, ha squarciato il silenzio della camerata da sei. Ma ha svegliato solo me, il nippone che farà il giro d'Europa in bicicletta e la taiwanese che ha deciso di lavorare per un po' nei balcani non si sono accorti di nulla.

mercoledì 16 settembre 2015

Stand by me

-Metà maggio, Malpensa, grandine. Voli annullati, voli rimandati, voli dirottati temporaneamente su Nizza, attese lunghe, parole crociate non fatte, cioccolata fondente che inganna l'attesa. Bus notturno, amici che passano accanto senza essere visti, mattino, arrivo. Inizio di una nuova estate.
-Casa temporanea trasformata in residenza estiva semipermanente, di settimana in settimana, di mese in mese, di stagione in stagione se fosse stato possibile. 
-La neve non voleva andarsene, incollata alle vette per settimane. Le piccole cascate ammorbidivano la terra, il fango induriva le scarpe, la neve bruciava la pelle.
-La trasferta durava un giorno di più, da solo in un paese che di notte è popolato dal nessuno. Tour improvvisi in terre sconosciute, con navi cinque stelle. Si raccontavano storie sconosciute al narratore, si vedevano orsi polari di un tempo che fu e che per loro non sarebbe forse mai più tornato.
-Le prime zecche della stagione, le rane, le storie di mele che non possono essere più coltivate, il vento, gli uccelli, le pecore. 
-Il primo tour in francese, gli appunti scritti in fretta, parole che scorrevano più nella mente che tra le labbra, turisti soddisfatti non si sa come, non si sa perché. Il primo tour in francese e in italiano, turisti italiani stupiti della mia nazionalità.
-Hallon giocava coi topi e se li mangiava con avidità, non una goccia di sangue, non un osso avanzato. Durga è rimasta solo pochi giorni, colei che difficilmente si poteva avvicinare si è allontanata e non è più tornata proprio mentre ero andato a prenderle i croccantini. Skelly che aveva fame. Come me. Skelly che aveva paura ad attraversare il ponte. Come me.
-Un ragno esplodeva sullo stipite della finestra, un altro moriva perché aveva deciso di dormire nel posto sbagliato, il terzo in quattro anni in una manica dell'accappatoio. Altri soffocavano nel giallo brillante del detersivo. I più fortunati venivano portati in salvo in un giorno di sole e di pulizie.
-Un passo, due passi, tre passi, quattro passi, cinque passi, millecentotrentatre passi da casa al reparto banane del supermercato. 
-Le partite a carte e in ogni mazzo c'erano tre jolly, qualcosa di troppo. 
-C'era un punto isolato e lontano dal mondo, raggiunto di corsa senza pensare a nulla, raggiunto pianissimo raccogliendo fiori, bagnandosi di sudore o a volte anche di pioggia, ma il sole poi arrivava sempre.
-Ho fatto un bagno nel fiordo, nelle sue acque scure in quiete. Un passo dopo l'altro verso l'abisso. Immergendomi lentamente, a occhi aperti e con la pelle pronta per vedere il buio ed ascoltare il freddo. Per un attimo la voglia era di farsi inghiottire dall'acqua dolce e incatenare dalle alghe, al riparo da tutto.
-La montagna è stata amica e insegnante, soprattutto per metafore. Non importa quanto sia evidente il sentiero, ci vuole poco per perderlo. Se vuoi raggiungere la cima, impara a camminare anche da solo, perché non sempre ci sarà qualcuno che troverà abbastanza tempo o voglia per accompagnarti. 
-Come ai tempi in cui ci si scambiava le figurine (cosa in cui sono sempre stato pessimo), ci si scambiava fantasmi con demoni. 
-Inizio settembre, ultimi giorni di lavoro e primi saluti, gente che se ne va, appartamenti che si svuotano, luci che si spengono, porte che si chiudono, mani che si aprono, pullman che partono, messaggi che arrivano. 
-Ho visto la prima aurora boreale. Nasi all'insù per vedere una luce fioca fare movimenti rapidi, disegnare forme diverse, fermarsi e ripartire. Naso all'insù orientato verso un mondo parallelo inesistente.
-Prima metà di settembre, Geiranger, sole. Ore di viaggio, riposo, ore di viaggio, riposo. Gotemburgo, Trelleburgo, Amburgo, Bamberga, San Bonifacio. Montagne, mare, multe, pirati a St Pauli, birra, birre, treni in ritardo, coincidenze perse, cioccolata fondente che inganna l'attesa. Treno pomeridiano, lacrime di qualcuno che chissà da dove arriva, sorrisi di sua figlia, commenti razzisti vomitati da gente che dovrebbe stare sotto i treni invece che sopra, arrivo. Fine di una vecchia estate.

Ma cosa si prova quando non si ha niente, nemmeno dei ricordi cui aggrapparsi, quando è notte fonda?

venerdì 1 maggio 2015

Così che tu possa sentir per me quasi una solitudine

Pensando ai miei gusti climatici, tutto ciò aveva avuto un sapore inverosimile, non avrei potuto immaginare una beffa del genere: eravamo nati in un deserto infuocato per morire tra i ghiacci e le nebbie in una danza di neve. Morire danzando è stato qualcosa di estremamente grottesco. Insopportabile. 
Dopo tutto questo tempo, stanno svanendo le parole scritte dietro a foto e disegni colorati, tra altri anni lasceranno il posto a qualche nuova eco di pensieri che forse non sono neppure mai esistiti. E un giorno, anche l'eco finirà o sarà semplicemente una flebile percezione, leggerissima e sfuocata, come quella di terremoti lontani che sento nei nervi ma non nella pelle. Tutto il resto l'ho chiuso in cristalli, che rimangono semi-sepolti in quel deserto in fiamme che ogni tanto sembra destinato a sopirsi per sempre sotto le montagne di neve, dove ogni baluginio sembra morire nella nebbia e nella notte, fin quando ciclicamente tutto si scioglie al ritorno della luce. Quei cristalli hanno sempre avuto punte acuminate, ma una pelle callosa e ispessita diventerà una protezione sufficiente per non sentire più alcun dolore quando ci si passerà sopra. E proprio per questo quel giorno diventerà inutile maneggiarli. 
Hai paura del buio? No, ho paura della luce, perché al buio puoi far finta che esista tutto ciò che vuoi, la luce invece non finge, devi intrappolarla bene, chiudere ogni spiraglio. La luce ha il potere: se la fai uscire, vedo chi non c'è. Allora le palpebre erano state un'arma efficace, serrande abbassate sul mondo: ci si poteva addirittura raccontare cosa si vedeva con gli occhi chiusi. Dieci scatti. Api e bolle di sapone. 
Ho imparato una nuova lingua per poterti non parlare più. Proprio ora ne sto apprendendo un'altra, così che nella testa ho sempre più parole, ma sempre meno me ne restano nella bocca e sulle dita.

lunedì 9 marzo 2015

A ciascuno era affidato il compito di vegliare sulla solitudine dell'altro

Circa due anni e mezzo fa (settembre 2012) mi era capitato di fare una riflessione sui calzini e sul destino che inevitabilmente li lega a coppie. La stessa cosa naturalmente è valida anche per i guanti, a meno che non si tratti di guanti da forno, ad esempio. Ieri è successo il brutto: un guanto è andato perduto. Non lo ritroverò mai più. Il suo gemellino è ora solo. Questa notte l'ho fatto dormire sul cuscino accanto al mio, ora sento i suoi occhi che non ha su di me. Le sue dita mi indicano, tutte e cinque insieme. Mi accusa. Una parte vagamente razionale mi avvisa che i guanti probabilmente non hanno la capacità di serbare rancore, ma nonostante ciò mi sembra di avergli fatto uno sgarbo -seppur ovviamente involontario- imperdonabile. Non riuscirò mai più a ricucire il rapporto che c'era prima tra me e lui. Non ricordo neppure quanti anni avevano passato insieme... ed ora si trova solo. Mi spiace veramente molto. Intanto fuori nevica. Domani se farà freddo mi metterò le mani in tasca.

martedì 19 agosto 2014

Ho cercato un po' di ghiaccio, ho trovato solo fiori

 Sulle quantità d'animali.

Ronzii in loop, di tafani, di vespe, di moscerini, di insetti sconosciuti. Zecche no, neanche una. Ragni un po' sì, ma con moderazione. Nessuno ancora rinvenuto post-doccia nella manica dell'accappatoio, nell'eventualità si spezzerà una sgradita tradizione biennale. Che pare poco ma in realtà già l'annualità era d'eccesso. Due in giornata singola, in camera doppia, colti da morte per trauma a poche ore di distanza l'un dall'altro. Intanto Alfonso ingrassa mangiando mosche e un po' (tanto) sono orgoglioso di non scappare quando lo vedo. Opilionidi a sprazzi e spruzzati sul muro. Ovini, caprini e bovini in quantità normale, mucche da tenda più numerose del solito.
Avvistamenti di ermellini, toporagni, ricci piccoli e lemming, di cui svariati bidimensionali in connubio con l'asfalto.
I vermi niente, un paio se li sono mangiati le lumache. Che continuano ad attraversare le strade. 
Gatti: un rosso affettuoso con moderazione, un grigio da farsi male alle tibie, un bianconero da compleanno che di tanto in tanto presenzia sui divani e succhia dita.

Del clima.

Un'estate calda come non se ne vedevano da anni. Un maggio che pareva giugno, un giugno che pareva luglio e un luglio che pareva il luglio classico da un'altra parte più a sud, tipo Trezzano sul Naviglio ma con più mare e meno pianura. E forse anche un pochettino meno umidità nell'aria.
Avrei voluto stare per un po' sott'acqua, ma o fa troppo freddo o fa troppo caldo da quelle parti.
Ieri d'improvviso ho visto l'autunno. Giallo.

Quello che ho.

Ho una lavatrice e finora ha anche funzionato. Solo due magliette azzurrite e poi ricandidate al bianco.
Ho una camera grossa, troppo grossa per starci da solo. Condivisa ora con palla da beach volley. Più dura di quanto sembri. A proposito... infortuni muscolari registrati: tre (di cui uno parzialmente in corso), ma praticando sport nazionalpopolare chiamato giuoco del calcio. Incazzature pallavolistiche: quattro (di cui quattro in corso se ci ripenso: la pallavolo è una delle poche cose serie della vita e mi stupisce che la gente comune la possa prendere in modo estremamente superficiale).
Ho delle belle tende scure. Ancora non mi capacito di come possano tenere tende bianche alle finestre esposte al sole con tutte le ore di luce che ci sono d'estate. 
Ho due balconi, di cui uno pericolante, pericoloso stenderci i panni. Per tale motivo, parte della camera grossa, troppo grossa è stata adibita a stenditoio. Con temperature nella norma, innalzamenti improvvisi serali se s'ha fretta di far asciugare il pantalone o la camicia bianca, la cravatta blu (questa per dovere di sincerità manca). 
Ho molta vitamina C in seguito a molti succhi d'arancia, di quelli fatti per benino. 
Ho un paio di dubbi che prima non avevo, ma ho pure un paio di convinzioni in più.

lunedì 7 ottobre 2013

Monetine e lollipop non saranno citati qui sotto.

Qualche tempo fa ero in cucina che mescolavo la ricotta con le noci e i pomodori e stavo pensando che dieci anni fa stavo in una cucina molto più a nord, senza ricotta e senza noci, perché al tempo non avevo la fissa di mettere la frutta secca nei sughi (anche se apprezzavo molto gli anacardi nel riso ai funghi del ristorante thailandese vicino a casa). Così, partendo da 'sta cosa, ho iniziato a pensare un po' di più a quel posto molto più a nord dove abitavo dieci anni fa: non solo alla cucina, alla sala, alla camera... ma anche alle strade, agli edifici e tutto quanto. E mi sono detto "perché non tornare dieci anni dopo e vedere com'è?". In realtà non è da dieci anni che non vado là, ci sono stato già altre volte: nel 2004 ci abitavo ancora, poi sono tornato nel 2005, nel 2006, nel 2007 e pure nel 2010. Comunque, finisce che ci torno anche nel 2013, perché siccome non ho trovato motivi abbastanza validi per non andarci (il più valido è che effettivamente è discretamente sbatti farsi il viaggio), ho comprato i biglietti aerei e ho prenotato l'ostello per un paio di notti (la terza la passo a sbarboneggiare in aeroporto). A proposito di ostello: là ce n'era uno veramente curioso, dentro un treno. Ho scoperto che non c'è più dall'ottobre dell'anno scorso. Non l'hanno semplicemente chiuso: il treno è partito, è rimasto solo il binario. Più morto del solito. Ho scoperto anche che non esiste più la squadra in cui giocavo a uollei lassù. Così è ufficiale: nonostante abbia messo fine alla mia scarsa carriera da pallavolista solo da un paio di anni, tutte le squadre in cui ho militato sono sparite. Puff!
Già nel 2010 invece avevo scoperto che la casa in cui vivevo aveva cambiato stile, non era più quel baraccone un po' (tanto) trasandato, dove si facevano feste a non finire perché manco al care-taker interessava che rimanesse in condizioni vagamente decenti. Non è più posto destinato agli studenti universitari. E le persone... tutti quelli che mi piacerebbe rivedere sono altrove. Non solo gli stranieri. Tutti erano lì solo per fare l'università, riconoscerò forse il bibliotecario (se non è andato in pensione), il tipo che continuava a tossire nella zona computer (se non è morto) e pochi altri.
Insomma, i presupposti per vedere un posto profondamente cambiato, dove non ci sia quasi più nulla di "mio", ci sono. Ma sarà sicuramente bello passare tre giorni con il passato, ci credo.

venerdì 2 agosto 2013

Coffee break

Nell'estate del 2003 di questi tempi avevo già fatto le valigie ed ero grosso modo in Norvegia, per la prima volta in vita mia. Dev'essere stato quello il periodo in cui vidi Geiranger per la prima volta. Quando ci tornai tre anni dopo, non mi ricordavo affatto di quel fiordo: pare che nel 2003 stessi dormendo e poi era pure assai nuvoloso, quindi non c'era molto da vedere. E a parte questo, quando viaggio se possibile dormo tutto il tempo.
Nell'estate del 2003 di questi tempi ero in Norvegia per la prima volta in vita mia ma in realtà stavo andando in Svezia. Stavo per fare un anno di Erasmus, quella cosa che uno va a studiare all'estero per arricchire il proprio bagaglio culturale, avere una formazione più ampia, poter approfondire aspetti della cultura e della storia di un altro paese e tante altre cacate del genere. Voglio dire... come se a me potesse importare veramente qualcosa di fare due esami di archeologia vichinga per sapere qualcosa in più sulle monete arabe trovate in Scandinavia.
Comunque 'sta cosa dell'Erasmus era una fissa che avevo da prima di cominciare l'università, forse è stato uno dei motivi principali per cui alla fine ho deciso di perdere del tempo in studi inutili. E non è che mi possa vantare di essere stato scelto per particolare bravura: quando ci furono le selezioni eravamo tipo in tre a voler andare a Lund e gli altri due non erano neanche studenti di lingue. Per perdere il posto avrei proprio dovuto essere in competizione per il premio re degli scarsi.
Fatto sta che comunque nell'estate del 2003 di questi tempi ero in Norvegia per la prima volta in vita mia per andare in Svezia a fare l'Erasmus, perché per merito mio o demerito altrui alla fine avevano scelto me. Non era la prima volta che andavo in Svezia. La prima volta avevo 17 anni. O forse ancora ne avevo 16... boh, comunque era l'estate in cui prima ne avevo 16 ma poi anche 17. Minicrociera tra Helsinki e Stoccolma, visita di Stoccolma in giornata e ritorno a casa con la stessa minicrociera (di cui ricordo soprattutto il Salmari, Rhonda, una cena a buffet inclusa e un Claudio che pensava che tutti gli asciugamani in cabina fossero suoi).
Visto che era l'estate del 2003 quella in cui di questi tempi ero in Norvegia per la prima volta in vita mia anche se in realtà stavo per andare in Svezia a fare l'Erasmus, tra un paio di settimane saranno 10 anni giusti giusti che me ne sono andato a Lund. A settembre ci sarà anche la reunion per celebrare l'evento. A Berlino. Sì, si è deciso che è poco importante tornare nel posto giusto, l'unica cosa importante è ritrovarsi e far festa come una volta, tutti insieme. In un posto più economico, così che ci si potrà devastare senza l'ansia di spendere troppo. Ci saranno Livio, Angela, Alex, Marko e molti altri. Stanno scrivendo un sacco di messaggi anche su facebook, stanno organizzando tutto per benino (tipo che hanno riservato un ostello per l'occasione, in modo da non perdersi neanche un attimo di festa andando in un altro ostello a dormire). Insomma, uno sbatti di quelli che io non avrei mai fatto. Quasi ogni giorno vedo che c'è qualcuno in più che comunica con entusiasmo il suo esserci o con moltissima tristezza e poco velato disappunto la sua impossibilità a partecipare, vuoi perché vive in Australia, vuoi perché gli è appena nato un figlio, vuoi perché ha un lavoro e non può prendersi ferie in quel periodo. Io non ho ancora risposto, all'inizio avevo buttato lì un "forse vengo" quando ancora non era ben chiaro chi fosse interessato alla cosa, ma in realtà già ora so che non ci andrò. E non mi dispiacerà neppure non vedere Livio, Angela, Alex, Marko e molti altri. Niente di personale con loro, è che non li conosco. Su 40000 studenti che c'erano, mica li potevo conoscere tutti.
L'anniversario mi dà occasione però di chiudere a modo, con un bell'elenco di quelli di cui si potrebbe anche fare a meno, ma in fondo neanche respirare è necessario per alcune persone, che invece si ostinano a farlo. 


###Inizio finale rimembrativo###

I primi dieci ricordi dell'anno Erasmus:
  1. i pomeriggi passati al bar con Sofia
  2. le cene sociali della domenica
  3. le partite di ping pong in sala
  4. l'odore di glicine lungo la strada per andare in biblioteca
  5. le feste interrotte dall'arrivo della polizia
  6. i 27 punti in una gara con il LUGI Lund persa comunque con disonore
  7. i fiori che mi regalò Camilla
  8. le libellule
  9. il campeggio in casa causa pioggia
  10. i cd della biblioteca
---Fine finale rimembrativo---

mercoledì 24 aprile 2013

Instagram

Era estate ed era caldo, i palloncini scoppiavano senza sosta a contatto con l'erba, perché i fili appena tagliati sembravano puntine. Sull'ombra del muro scrivevo il tuo nome mentre il tuo sorriso mi dava le spalle. Fosse stato per me ci saremmo andati veramente al mare per non farti sentire più così pallida, anche se il sole non mi sarebbe piaciuto. Eri più azzurra tu del cielo quel giorno. Ora hai la pelle più scura, lo smalto rosso è sbiadito e non porti più gli occhiali, sembri quasi più vecchia di me, che già me la cavo bene... ma tua figlia l'hai chiamata veramente Teresa?

venerdì 4 gennaio 2013

Vol. VI

Anche a 'sto giro ho preparato il cd dell'anno che se n'è appena andato. Il sesto. Uno dei problemi di tanti brani che hanno influenzato molto il mio 2012 è stato  quello della lunghezza. Quindi per evitare di avere una compilation con quattro brani, ho deciso di lasciare fuori pezzi più lunghi di 10 minuti (tipo Taijin Kyofusho degli Evpatoria Report, Illuminate my heart, my darling! degli Yndi Halda o Nastiez degli Obscure Sphinx). Poi naturalmente ho dovuto fare delle scelte che non mi convincono moltissimo, ma tant'è. Il risultato è questo.
  1. Iosonouncane - Summer on a spiaggia affollata
  2. Il Teatro degli Orrori  - Direzioni diverse
  3. Jezabels - Endless summer
  4. Der Blaue Reiter - Prison of desire
  5. I Fichissimi - La tipa della casa occupata
  6. Nobraino - Il mangiabandiere
  7. Lo Stato Sociale - Mi sono rotto il cazzo
  8. Tunturia - These are the words
  9. Circadian Eyes - Reaching hands
  10. Ustmamò - Piano con l'affetto
  11. Camille Saint-Saëns - Aquarium
  12. Logh - The bastards have landed
  13. Rosetta - Ayil
  14. Muhr - We have mountains to climb
  15. Aereogramme - A meaningful existence
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