giovedì 25 febbraio 2016

Non importa se dimenticherai il mio nome stasera, perché so che lo ricorderai per il resto della tua vita

Tutto cominciò tra le montagne più vicine, mancate alla vista per una decade circa. Le curve fatte decine di volte tanti anni fa apparivano più affascinanti ma immutate. Una grossa pietra si ergeva come sempre al lato della strada, nulla l'aveva distrutta, solo l'oblio l'aveva resa invisibile.
Fino a poco prima non pensavo che avrei ripercorso piccoli sentieri ricoperti di ceneri estive e foglie arrossate o ingiallite, e fu una questione di pochi minuti, perché la luce naturale se ne stava già andando e di luci artificiali nella radura non ce n'erano. Gli occhi delle braci erano diventati neri.
In casa per lo più si parlava, qualcuno bubolava e i cani erano in attento silenzio.
Il sole riscaldava due gemelli e toccava a me scegliere quale interpretare. Partendo da un concetto base forse poco esplorato ultimamente: se non apri gli occhi non vedi neppure quel che hai davanti.
Venne il primo viaggio, destinazione Budapest, terra di atterraggi con poca visibilità, taxisti precisi, bradipi più veloci di quanto pensassi, di fili spinati e di succhi di frutta buoni.
Venne soprattutto un cambio di accento, da Sòfia in Bulgaria a Sofìa in Portogallo. Una notte scomoda in aeroporto, spiegando a un rumeno come usare un telefono con le impostazioni in tedesco, poi l'arrivo a Porto. E trovare un'amica importante dopo quasi dieci anni per vedere l'effetto che fa. L'effetto fu che certe scelte sono anche giuste, e così spesso quando mi capitava di pensare a qualcosa che sarebbe ripartito uguale a prima come se nulla fosse passato in mezzo, io pensavo proprio a Sofia, immaginandoci seduti in un bar a raccontarci tutto quello che era o non era successo durante le nostre reciproche assenze. Anche Sofia era in un cristallo, ma a differenza di altri, splendeva senza rovinare il buio. Ci sarei potuto passare sopra mille volte senza pungermi, lo sapevo dalla sera d'agosto del 2003 in cui la vidi la prima volta, mentre si parlava di strumenti musicali australiani a un tavolo ancora umido per la pioggia caduta il pomeriggio. Ci fu una certa arroganza -piuttosto circoscritta per quanto concerne il numero di casi- nella presentazione. Un'assenza e un passaggio non premeditato ci davano già ragione. Era facile essere sulla stessa linea. Poi sembravano passati eoni, ma ancora una volta erano bastati pochi minuti per capirsi. Gennaio fu un bel mese.

Nessun commento:

Posta un commento