Nell'estate del 1998 ricevetti una cartolina da Simona. Era agosto. Mi aveva scritto da Oslo e ricordo benissimo che quando vidi quella foto provai una grandissima invidia. La cartolina, senza voler accusare Simona di aver cattivo gusto, non è che rendesse particolarmente giustizia alla capitale norvegese: montagne di luci si riflettevano su se stesse e si fondevano con altre in un effetto abbastanza sfuocato, sotto a una nube nera in un cielo arancione-azzurrognolo, mentre in un angolo campeggiava la scritta quantomeno approssimativa "Oslo by night". Ma avrei voluto esserci io a Oslo. E invece in quelle settimane mi trovavo a neanche cento chilometri da casa, nella valle bergamasca dove erano soliti passare le vacanze i miei nonni. Per mia nonna, sarebbe stata l'ultima estate.
A Oslo io non c'ero mai stato e della Norvegia non sapevo praticamente nulla. Non sapevo cos'era un fiordo, non avevo idea di quale fosse il ghiacciaio più grande, neanche ero tanto sicuro se ci fossero montagne o se fosse una terra pianeggiante piena di laghi come la Finlandia. Ovviamente non parlavo neppure una parola di norvegese e non avrei mai sospettato che da quelle parti si parlassero due varianti differenti della stessa lingua. Eppure avrei voluto veramente essere là, con o senza Simona. Guardavo la cartolina e pensavo "chissà se un giorno riuscirò ad andare là". Il Nord era una necessità. Non doveva proprio essere Oslo, poteva essere qualsiasi altra città di lassù, andava bene qualsiasi cosa, Norvegia, Svezia, pure Danimarca, poco importava. Non era passato poi così tanto tempo da quando c'ero stato. Era l'estate del 1997 quando passai un mese in Finlandia e da allora il Nord me lo portavo dentro. Avrei tanto voluto tornarci. E invece avevo l'impressione che sarebbe stato solo un sogno, quasi impossibile da realizzare. Avrei probabilmente continuato a vedere Simona, ma non il Nord.
Invece non andò così, perché pochi anni dopo, nel 2002, tornai in Finlandia, arrivando fino al nord del Nord, superando il circolo polare. Neanche un anno dopo, passai dalla Danimarca e dalla Norvegia, ma soprattutto passai dieci mesi in Svezia. Poi un altro mese in Norvegia, prima di tornare in Italia. Con lo stesso timore che la mia vita potesse consumarsi lontano dal Nord, che sicuramente sarebbe rimasto impassibile e del tutto indifferente a una mia eventuale assenza.
E invece, di nuovo, non andò così. Non ci furono più stacchi. Da allora, fortunatamente, ogni anno posso tornare nel Nord, almeno in una piccola parte di quella zona di cui non sapevo nulla o quasi. Quest'anno ho passato più tempo in Norvegia che in Italia o altrove. Quando sto lassù, abito accanto a un fiordo, vicino al ghiacciaio più esteso dell'Europa continentale, senza dubbio so che le montagne da quelle parti sono molte. Riesco vagamente a parlare una lingua bastarda, un miscuglio tra svedese, norvegese e dialetti vari.
Simona invece non ho idea di cosa faccia e di dove abiti ora. Già a settembre, nel 1998, ci si
salutava solo per casualità. Non per motivi particolari, ma era una di quelle persone che si incrociano per un po' e poi svaniscono. L'ultima volta che l'ho vista forse è stato
nel 2000, o altrimenti poco oltre. Nonostante ciò, penso anche a lei ogni volta che arrivo là. E quando ora qualcuno mi chiede di Oslo, rispondo che per me è una città carina, ma niente di che. Poi, quasi sempre, mi viene in mente quella cartolina.
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