+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-Ho visto le porte scorrere lentamente per chiudersi giusto davanti a me, come nei film si chiudono davanti alla faccia del protagonista, mentre parte una musica leggermente triste in sottofondo. In una commedia, al posto della musica triste, il protagonista con un colpo di scena all'ultimo secondo sarebbe saltato tra quelle porte e tutto sarebbe finito bene. Invece fuori dalla commedia tutto sarebbe finito e basta. In quel momento ci sono altre persone intorno, non tantissime ma neppure poche, eppure è come se mi avessero messo in una cella di massima sicurezza, isolato. Per un attimo c'è uno sguardo a cui ancora do importanza, cerco di leggerci parole che probabilmente non ha mai voluto esprimere, una mia libera interpretazione.
+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-Un gesto di stizza, un insulto malcelato, una reazione strabordante. D'un tratto la mano è sul collo e stringe la presa, avvolgente. Posso sentire la lenta ricrescita di una barba che si intuisce poter essere folta, a cui segue una zona di pelle morbida. Sotto, la cartilagine lievemente appuntita del pomo d'adamo si muove al ritmo delle deglutizioni, mentre di lato si può sentire il leggero pulsare della carotide e il calore del sangue. Un uomo così grande sembra avere gli occhi improvvisamente piccoli, pure se ora sono spalancati. La bocca leggermente aperta gli conferisce un'espressione incredula e spaventata. Stavolta non è una libera interpretazione, quello sguarda significa proprio paura. Ogni tanto sento ancora sulle dita il piacere sadico di quella presa e anche se il mio sguardo non lo ammette, capita anche a me di aver paura.
+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-Una carta magica che mi ha permesso più volte di galleggiare, i gemelli che si inseguono e litigano per decidere se stare all'ombra o al sole.
+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-Ho visto un'amica, con il gusto di rivedersi dopo tanto tempo e ritrovarsi al primo abbraccio con la stessa sintonia di dieci anni prima. L'ho sentita scorrere e crescere nei suoi racconti, divenuta così diversa da quella ragazza che avevo conosciuto all'epoca, ma così uguale nelle nostre battute e nella capacità di capirsi al volo.
+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-Un casolare esteticamente rivedibile, un parallelepipedo bianco nel mezzo dei campi e dei vigneti, con molti lavori in corso, un salone adibito ad area tiro con l'arco giapponese, una roulotte semiribaltata all'inizio del viale, in curva, per rendere difficile il passaggio delle macchine. Nello stanzone che fa da soggiorno e da cucina uno o più topi attendono le tenebre per sgranocchiare lo sgranocchiabile. Sul soffitto molti folcidi e senza che me ne renda conto per la prima volta dormo senza terrore di avere degli aracnidi a poca distanza da me.
+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-La neve, un unico giorno di neve in quel paese dove passo le mie estati. Un unico giorno in cui tutto è coperto di bianco, come ci si aspetterebbe che sia lassù al nord. Quel giorno ho avuto la fortuna di poter fare un giro in tranquillità, con quel rumore di ossa sbriciolate sotto i piedi, godendo del vento freddo e dei cristalli che sferzavano la pelle. Un unico giorno in cui all'indifferenza scontata e triste degli adulti ho preferito la gioia dei bambini.
+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-Il fuoco ha bruciato tutto il bruciabile, sono passati mesi da quando è accaduto, ma l'odore è ancora forte e ben presente. Mi piace quel tipo di odore di legno bruciato che mi ricorda di tempi in montagna, della pizzetta del mercoledì tornando dal mercato, una delle poche interruzioni della routine, oppure la stufa di una casa austera di pietre chiare, così in contrasto con il buio interno. Ma lassù è rimasto solo il nero degli arbusti bruciati, una chiazza molto ampia che si vede anche dal minuscolo gruppo di case in cui mi trovo a passare qualche settimana. Non passerà inosservata per lungo tempo.
+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-Il regno di ghiaccio. Il collo del gatto. Ha un nome morbido ma una salita dura. Una camminata che porta direttamente sul ghiacciaio, il vento soffia tra le spianate azzurre. Visto da lassù sembra enorme, rende risibile ciò che l'occhio del turista vede (e apprezza) normalmente.
+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-Il sottosuolo mi affascina. Non solo nella sua accezione di dimora per cadaveri, ma anche per quella sua capacità di aprirsi improvvisamente in regge eleganti, saloni maestosi retti da pilastri in eterna costruzione, goccia dopo goccia, millennio dopo millennio. Una delle meraviglie della natura: mentre noi corriamo con le nostre vite piene di affanni e vuote di paziemza, ci preoccupiamo del tempo che passa inesorabile, lasciando poi spazio ai nostri figli, ai nostri nipoti, poi ancora ai nipoti dei nipoti e alle loro preoccupazioni, una goccia si affaccia lentamente e timida si chiede "che faccio, mi butto?", senza che la goccia alle sue spalle le dica mai di sbrigarsi.
+Chiudi gli occhi. Riaprili. Cosa hai visto?
-Frammenti di vita che restano legati a persone di passaggio, attimi di bellezza che ci scambiamo con gente che non abbiamo mai visto prima e che probabilmente non rivedremo più. Dalla bruttura della massa si ergono all'improvviso figure che destano interesse. Negli aeroporti, in una stazione, in una camera sovraffollata di un ostello. Come Simon, pazzo hooligan olandese, Aielet che vuol costringermi a fumare, una giovane tedesca di cui non ho saputo neppure il nome con cui si parla di viaggi per tutta la sera, Olivia che è da un anno e oltre che va in giro per l'Europa e nel suo campionario di esseri sottoposti ai suoi studi psicologici per qualche ora mette pure me. O come una ragazza con un nome luminoso e un sorriso ancora umido che mi dorme accanto stanca ma tranquilla e rassicurata solo dalla presenza di uno sconosciuto.
venerdì 30 dicembre 2016
Dieciscatti 2016 la carica dei 300
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sabato 3 dicembre 2016
Nell'estate del 97 sorridevo divertito
Nell'estate del 1998 ricevetti una cartolina da Simona. Era agosto. Mi aveva scritto da Oslo e ricordo benissimo che quando vidi quella foto provai una grandissima invidia. La cartolina, senza voler accusare Simona di aver cattivo gusto, non è che rendesse particolarmente giustizia alla capitale norvegese: montagne di luci si riflettevano su se stesse e si fondevano con altre in un effetto abbastanza sfuocato, sotto a una nube nera in un cielo arancione-azzurrognolo, mentre in un angolo campeggiava la scritta quantomeno approssimativa "Oslo by night". Ma avrei voluto esserci io a Oslo. E invece in quelle settimane mi trovavo a neanche cento chilometri da casa, nella valle bergamasca dove erano soliti passare le vacanze i miei nonni. Per mia nonna, sarebbe stata l'ultima estate.
A Oslo io non c'ero mai stato e della Norvegia non sapevo praticamente nulla. Non sapevo cos'era un fiordo, non avevo idea di quale fosse il ghiacciaio più grande, neanche ero tanto sicuro se ci fossero montagne o se fosse una terra pianeggiante piena di laghi come la Finlandia. Ovviamente non parlavo neppure una parola di norvegese e non avrei mai sospettato che da quelle parti si parlassero due varianti differenti della stessa lingua. Eppure avrei voluto veramente essere là, con o senza Simona. Guardavo la cartolina e pensavo "chissà se un giorno riuscirò ad andare là". Il Nord era una necessità. Non doveva proprio essere Oslo, poteva essere qualsiasi altra città di lassù, andava bene qualsiasi cosa, Norvegia, Svezia, pure Danimarca, poco importava. Non era passato poi così tanto tempo da quando c'ero stato. Era l'estate del 1997 quando passai un mese in Finlandia e da allora il Nord me lo portavo dentro. Avrei tanto voluto tornarci. E invece avevo l'impressione che sarebbe stato solo un sogno, quasi impossibile da realizzare. Avrei probabilmente continuato a vedere Simona, ma non il Nord.
Invece non andò così, perché pochi anni dopo, nel 2002, tornai in Finlandia, arrivando fino al nord del Nord, superando il circolo polare. Neanche un anno dopo, passai dalla Danimarca e dalla Norvegia, ma soprattutto passai dieci mesi in Svezia. Poi un altro mese in Norvegia, prima di tornare in Italia. Con lo stesso timore che la mia vita potesse consumarsi lontano dal Nord, che sicuramente sarebbe rimasto impassibile e del tutto indifferente a una mia eventuale assenza.
E invece, di nuovo, non andò così. Non ci furono più stacchi. Da allora, fortunatamente, ogni anno posso tornare nel Nord, almeno in una piccola parte di quella zona di cui non sapevo nulla o quasi. Quest'anno ho passato più tempo in Norvegia che in Italia o altrove. Quando sto lassù, abito accanto a un fiordo, vicino al ghiacciaio più esteso dell'Europa continentale, senza dubbio so che le montagne da quelle parti sono molte. Riesco vagamente a parlare una lingua bastarda, un miscuglio tra svedese, norvegese e dialetti vari.
Simona invece non ho idea di cosa faccia e di dove abiti ora. Già a settembre, nel 1998, ci si salutava solo per casualità. Non per motivi particolari, ma era una di quelle persone che si incrociano per un po' e poi svaniscono. L'ultima volta che l'ho vista forse è stato nel 2000, o altrimenti poco oltre. Nonostante ciò, penso anche a lei ogni volta che arrivo là. E quando ora qualcuno mi chiede di Oslo, rispondo che per me è una città carina, ma niente di che. Poi, quasi sempre, mi viene in mente quella cartolina.
A Oslo io non c'ero mai stato e della Norvegia non sapevo praticamente nulla. Non sapevo cos'era un fiordo, non avevo idea di quale fosse il ghiacciaio più grande, neanche ero tanto sicuro se ci fossero montagne o se fosse una terra pianeggiante piena di laghi come la Finlandia. Ovviamente non parlavo neppure una parola di norvegese e non avrei mai sospettato che da quelle parti si parlassero due varianti differenti della stessa lingua. Eppure avrei voluto veramente essere là, con o senza Simona. Guardavo la cartolina e pensavo "chissà se un giorno riuscirò ad andare là". Il Nord era una necessità. Non doveva proprio essere Oslo, poteva essere qualsiasi altra città di lassù, andava bene qualsiasi cosa, Norvegia, Svezia, pure Danimarca, poco importava. Non era passato poi così tanto tempo da quando c'ero stato. Era l'estate del 1997 quando passai un mese in Finlandia e da allora il Nord me lo portavo dentro. Avrei tanto voluto tornarci. E invece avevo l'impressione che sarebbe stato solo un sogno, quasi impossibile da realizzare. Avrei probabilmente continuato a vedere Simona, ma non il Nord.
Invece non andò così, perché pochi anni dopo, nel 2002, tornai in Finlandia, arrivando fino al nord del Nord, superando il circolo polare. Neanche un anno dopo, passai dalla Danimarca e dalla Norvegia, ma soprattutto passai dieci mesi in Svezia. Poi un altro mese in Norvegia, prima di tornare in Italia. Con lo stesso timore che la mia vita potesse consumarsi lontano dal Nord, che sicuramente sarebbe rimasto impassibile e del tutto indifferente a una mia eventuale assenza.
E invece, di nuovo, non andò così. Non ci furono più stacchi. Da allora, fortunatamente, ogni anno posso tornare nel Nord, almeno in una piccola parte di quella zona di cui non sapevo nulla o quasi. Quest'anno ho passato più tempo in Norvegia che in Italia o altrove. Quando sto lassù, abito accanto a un fiordo, vicino al ghiacciaio più esteso dell'Europa continentale, senza dubbio so che le montagne da quelle parti sono molte. Riesco vagamente a parlare una lingua bastarda, un miscuglio tra svedese, norvegese e dialetti vari.
Simona invece non ho idea di cosa faccia e di dove abiti ora. Già a settembre, nel 1998, ci si salutava solo per casualità. Non per motivi particolari, ma era una di quelle persone che si incrociano per un po' e poi svaniscono. L'ultima volta che l'ho vista forse è stato nel 2000, o altrimenti poco oltre. Nonostante ciò, penso anche a lei ogni volta che arrivo là. E quando ora qualcuno mi chiede di Oslo, rispondo che per me è una città carina, ma niente di che. Poi, quasi sempre, mi viene in mente quella cartolina.
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